Stefania Galegati

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Per la quarta personale da pinksummer Stefania Galegati Shines presenta un progetto che esce dalla galleria per fluire sul selciato dei vicoli di Genova dentro alle parole di Rosa Matteucci. Il racconto inedito della scrittrice “Bisogna partire da Odessa per raccontare questa storia d’amore”, composto per il progetto di Stefania Galegati, muove dalla storia di un amore accaduto realmente a Genova durante la seconda guerra mondiale. Il progetto di Stefania Galegati Shines con parole di Rosa Matteucci, dalla scalinata di Palazzo Ducale giungerà a tuffarsi in mare dalle banchine del porto.
In galleria solo un riferimento a questa storia, sarà il manoscritto di Rosa Matteucci.
Una seconda opera è un oggetto che viaggia in una apposita valigia con l’artista. La valigia verrà lasciata in galleria. L’oggetto ogni giorno, negli orari di apertura della mostra, verrà estratto e tenuto in braccio. Non dovrà mai essere appoggiato. Prima della chiusura verrà risistemato nella valigia. L’oggetto è fatto di legno lasciato dal mare sulla spiaggia.
In galleria ci saranno alcuni disegni su carte alimentari che raccontano di architetture, di colonie estive e di ginnastica e anche un piccolo dipinto, che apparentemente non c’entra con il resto.

Segue una conversazione tra Rosa Matteucci e Stefania Galegati Shines con alcuni interventi di pinksummer.

Rosa Matteucci: Perché ti è venuto in mente una storia scritta sul selciato della strada dove i cani fanno pipi?

Stefania Galegati Shines: Camminando ho pensato tante volte che avrei voluto essere accompagnata, immaginavo la stessa stazione radio che esce da case diverse.
rm: Un procedere della vita con una colonna sonora riconducibile al filo di Arianna.

S.G.S: Poi c’è dell’altro: mi è sempre piaciuto leggere sui mezzi di trasporto, viaggiavo in treno e leggevo e accadeva che le storie lette si mescolavano alla vita.

R.M: Tu stavi seduta e leggevi e ciò che leggevi si mescolava con persone che salivano e scendevano dal treno o dall’autobus.

S.G.S: E’ così.

R.M: Mescolavi la parola scritta che per sua natura è qualcosa che rimane, verba volant scripta manent, con un agire fatale, non preordinato, casuale, di persone in movimento. Penso che necessità e caso siano la stessa cosa. Non credo che ci sia il libero arbitrio, che uno possa scegliere di dare una direzione alla propria vita piuttosto che un’altra. Il caso, fato, destino, coincide con la necessità, è quello che ti serve in quel momento, anche se tu non ne sei consapevole. Condividi?

S.G.S: Condivido, però non penso a una volontà superiore… tu?

R.M: Non necessariamente, più che a una volontà superiore penso a un macchinario.

S.G.S: A una sorta di chimica, fisica, a cui noi diamo un senso.

R.M: Una macchina che è anche una legge fisica. Pensa al fascino filosofico, intellettuale e anche religioso della seconda legge della termodinamica, quella dell’entropia. Si parte da uno stato ideale di quiete, una quiete che via via si annienta perché ogni atto, azione, aumenta l’entropia che è una forza distruttiva, tutto si distrugge e si ritorna a uno stato primitivo di quiete. La nostra vita nel tempo procede in mezzo a questo casino di azioni parole, movimenti.
Però non parliamo di filosofia parliamo di che cos’è una donna oggi. Cosa deve possedere?

S.G.S: Il Bimby? Pensa che quando me lo hai nominato la prima volta su Skype credevo fosse una marca di gelato, lo confondevo con Bindy. Mi sono sbagliata accipicchia! Ho fatto anche una ricerca su Google senza trovare niente.

R.M: Devi cercare Vorwerk

S.G.S: Ok

R.M: È la marca tedesca del micidiale Folletto.

Pinksummer: negli anni ’70 la Vorwerk faceva anche una specie di cuffia…

R.M: Che mettevi in testa e collegavi con il tubo dell’aspirapolvere…

P: La usavi come casco per i bigodini

S.G.S: E’ geniale!

R.M: Ho constatato facendo una sorta di indagine antropologica che quasi tutte le donne contemporanee posseggono questo robot da cucina che si chiama Bimby.

S.G.S: Senti Rosa, ma tu lo desideri questo Bimby?

R.M: No, però mi sento un’esclusa, una paria. Sai perché faccio questo discorso, perché nella mia vita, nella mia biografia, non mi sono mai trovata al posto giusto al momento giusto.
Sono sempre stata cacciata da ognidove: a scuola il banco non l’avevo, non avevo il letto, non avevo le scarpe, non avevo mai niente. Vivo il senso di mancanza come un’equivalente dell’essere rifiutata. Non desidero i beni materiali, ma Bimby mi sembra un’ indispensabile patente, una carta d’identità. Mi sentirei rassicurata di partecipare al consorzio della femmina contemporanea con il Bimby.
Poi c’è un altro dettaglio, perché si chiama Bimby? Si chiama Bimby perché il messaggio subliminale è: tu donna partorisci, hai i bimbi, e dunque hai bisogno di questo robottino che è una specie di governante, di tuttofare. Credo che abbia avuto questa diffusione, proprio perché ha un costo folle; un altro robottino da cucina, che ne so, costa 300 euro, questo costa cinque volte tanto. La suggestione è legata all’idea di maternità: Bimby, c’è il Bimby e con Bimby ogni capriccio viene esaudito. Però in questo caso tu (Stefania) madre non hai il Bimby. Come la mettiamo?

S.G.S: Io madre di fatto non ho il Bimby, però devi sapere cosa uso al posto del Bimby, perché ti farà raccapricciare. Ho un oggetto che si chiama Babypappa, non l’ho neanche comprato, qualcuno me lo ha passato.

R.M: Elettrico?

S.G.S: Elettrico. Odio gli elettrodomestici in genere, ma questo mi è stato dato per far da mangiare ai miei figli quando erano piccoli, prima grattugiavo, facevo tutto a mano, poi per il secondo è arrivato questo oggetto che trita. Ormai sta insieme con i pezzi di scotch.

R.M: Quest’attrezzino che hai trita e basta oppure monta e fa dell’altro?

S.G.S: Trita e basta, è un Bimby in miniatura. In realtà farebbe anche gli omogeneizzati caldi, ma quella funzione non la uso più perché i miei figli sono grandi. Ormai mangiano tutto.

R.M: Sei sfuggita a Bimby, però questo attrezzino Minibimby comunque ce l’hai.

S.G.S: Si, ma questo è un tritatutto, non è un Bimby, è una cosa che vive qui attaccata con lo scotch. Se lo vedessi ti verrebbe la pelle d’oca, però in effetti per tritare è comodo.

R.M: Secondo te in una storia d’amore, perché noi alla fine qui dobbiamo parlare di storie d’amore, ci entra per forza, o di riffe o di raffe, una cosa come il Bimby o quantomeno un attrezzo consimile?

S.G.S: In una storia d’amore c’entra Bimby per forza… Sai con questa storia del Bimby mi hai fatto pensare, ci penso in verità da qualche anno perché posso dire: “ci sono passata”. Tu parlavi della donna di oggi, di cosa ha bisogno. Ebbene credo che la donna d’ oggi si sia liberata dalla schiavitù dell’uomo grazie agli elettrodomestici. E io che li ho sempre odiati fino a rifiutare anche la lavatrice!

R.M: Come lavavi a mano?

S.G.S: Ho passato tre anni a lavare a mano. E dai, e dai. Alla fine lavare è anche un’azione bella.

R.M: Ma anche il lenzuolo. il lenzuolo è faticoso?

S.G.S: Il lenzuolo è faticoso, però il procedimento è bello, mi bagnavo tutta in terrazza: c’è un meccanismo un po’ africano…

R.M: Adesso non lavi più a mano?

S.G.S: A un certo punto ho preso la lavatrice e sai quanto tempo ho adesso. E’ fantastico! Mi sono detta: cavolo penso di nuovo! Il ’68 è coinciso con l’arrivo della lavatrice e la liberazione della donna.

R.M: Tu metti ammorbidente, acchiappa/colore e anticalcare?

S.G.S: No. Dovrei vero?

R.M: Eh si.

S.G.S: Non sono un buon caso, tra un po’ mi sa che di nuovo non avrò più la lavatrice.

R.M: Anch’io sono contraria all’elettrodomestico e alle macchine in genere, perché ho un approccio molto semplice, molto primitivo con le cose. Se potessi starei con le candele, si sta meglio con la candela, però penso che se poi vieni a patti e dici: vabbé avete vinto con l’elettrodomestico, allora bisogna usarlo come va usato, utilizzando ad esempio tutte le funzioni della lavatrice, anche le più folli, tipo quella silenziosa, no-centrifuga, golfino cachemire, bebé, reggipetto, tutte ‘ste cazzate. A questo punto dovrai mettere anche il tuo detersivo di fiducia, avrai un detersivo di fiducia?

S.G.S: Non l’ho ancora trovato sai e tu? Come si chiama?

R.M: Si chiama Felce Azzurra Paglieri

P: Ma è un bagnoschiuma?

R.M: Siete proprio ignoranti. Hanno fatto la linea “Lava Lava Lava”.

S.G.S: Il bagnoschiuma è quello blu?

R.M: Hanno fatto la stessa profumazione per la lavatrice: l’ammorbidente ha lo stesso odore del bagnoschiuma, e io lo verso in quantità sostenute perché così profuma di più. Poi una volta metto la cartina acchiappa/colore, l’altra metto il sacchetto acchiappa/colore con i sali anti/calcare.

S.G.S: Che bello! Non so neanche cosa siano tutte queste cose.

R.M: Poi lavo anche a mano.

S.G.S: Vedi lavi anche a mano, sei una donna antica come me.

R.M: Ho lavato a mano anche cose assurde come le coperte.

S.G.S: Una follia!

R.M: Una volta ho lavato un tappeto in giardino, il cane ha fatto un casino orrendo. Questo tappeto per asciugare ha impiegato otto giorni d’estate, era diventato pesantissimo. A mano ho lavato di tutto: scarpe, cappotti, ho lavato anche un impermeabile, è stato un disastro perché l’impermeabile ha un trattamento antiacqua, un’idrorepellenza che col sapone di Marsiglia si è levata via e ora mi infraccico tutta. Vorrei sentirmi una donna come le altre anche senza Bimby.

S.G.S: Ma infatti secondo me va bene, siamo quattro donne che parlano tra loro e che non hanno Bimby. E’ un buon segno.

R.M: Siamo delle sfigate di nicchia, forse per istinto. C’è un istinto per cui i simili vanno presso i propri simili, fossimo state delle donne realizzate nel lavoro, nella famiglia, nella maternità, avremmo avuto il Bimby! Invece se siamo qua così, siamo delle sfigate invidiose della solidità borghese. Non è solo una solidità esterna, ha una forza di carattere. Con queste famiglie all’apparenza solide ci si può un po’ nascondere, anche se poi le sofferenze spirituali, le paure, forse sfiorano ugualmente. Se però avessi vari Bimby e anche altri elettrodomestici, mi ci nasconderei anch’io e non solo fisicamente.

S.G.S: Hai l’aspirapolvere?

R.M: Si, però non uso il phon, Ho paura del phon come i cani. Mia madre usava il phon e il cane abbaiava.

S.G.S: E’il rumore? A me da fastidio il rumore.

R.M: Ma no, ho paura anche della coperta elettrica, non dormirei mai sotto una coperta elettrica. Anche stamattina che è freddo mi sono lavata i capelli e sono stata un’ora e mezza dentro casa a tamponarli con pezze di lino, e li ho ancora umidi.

S.G.S: Non ti viene mal di testa?

R.M: No non mi viene male, però sto con questi capelli umidi. Ho avuto molta resistenza per il computer, è un altro strumento diabolico moderno e anche per questa cosa che stiamo facendo adesso, con questa finestrina che si vede la faccia tua.

S.G.S: Certo perché non si sente l’odore.

P: Rosa, a ben pensarci, in un tuo romanzo hai scritto che le pulizie di casa salvano la vita.

R.M: Deriva dal fatto che nella mia famiglia, era una famiglia di tradizioni forti, c’era una schiera di persone che puliva: pulivano il giardino, la casa, pulivano tutto e questo pulire mi dava un senso di sicurezza, di stabilità. Poi le cose hanno iniziato a traballare. Sono cresciuta in una casa di campagna che è stata venduta all’asta e negli ultimi mesi, era estate, lì non puliva più nessuno, solo la nonna ha pulito fino alla fine. Si è sfasciato tutto, la casa veniva smembrata, i mobili venivano venduti all’incanto, avevano staccato la corrente elettrica, stavamo con la candela. Ho collegato la fine della mia famiglia con la decadenza della casa. Non la definirei proprio un’ossessione, ma non starei in una casa sporca. Potrebbe essere una casa umidissima, una bicocca con mobilacci, ma deve essere pulita. E’ una virtù femminile saper rendere accogliente la capannetta. Però io sono un’inetta, un’intellettuale, ci sono invece donne che ci sanno fare, sanno pulire con intelligenza.

P: Stefania ci parli ancora del progetto con le parole di Rosa che farai fluire nel mare del porto.

S.G.S: E’ un po’ come un’idea di monumento diverso, il monumento che si fa narrazione. Mi piace anche l’idea di utilizzare il graffito, un linguaggio usato normalmente in maniera illegale. Scrivere sulla città.

R.M: Scrivere per bene in malomodo.

S.G.S: I graffitisti scelgono spesso luoghi brutti per abbellirli.

R.M: La mia valutazione personale dell’azione dei graffitisti è piuttosto variabile. A volte mi disturba.

S.G.S:Il limite è molto sottile, mi piace giocare su questi contrasti. Poi m’interessa la circostanza che il racconto sparirà: questa traccia sulla città, un po’ banale da raccontare forse, ma che è bello percepire sapendo che verrà cancellato dal passaggio quotidiano.

R.M: Rimarrà una storia con i buchi, una lettura ulteriore forse.

S.G.S: Mi ripeti la marca del Bimby?

R.M: Bimby è solo uno, lo fa la Vorwerk, quella del Folletto, poi ci sono delle palle di imitazioni, ma la donna che si voglia definire tale, fronte alta nella società contemporanea, deve avere Bimby.

P: “Ridate smalto alle superfici domestiche con il nuovo miracoloso Ubik”.

Pinksummer e Stefania Galegati Shines ringraziano Giuliano Ballerini, Tania Ballerini, Gabi Curiel De Mattei, Shalom Eugenia De Mattei Graubardt, Cristina Romeo, oltre a Rosa Matteucci.

Pinksummer ringrazia inoltre Stefano Pieri, Andrea Modon, Lorenza Risso dell’Accademia Ligustica di Belle Arti.