Sancho Silva

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Pinksummer: “Hai scritto che il concetto centrale del tuo lavoro è quello di spazio. L’idea di spazio non è univoca, ma assume forme e significati diversi nelle differenti discipline: dalla matematica alla filosofia, dalle scienze economiche a quelle sociali come l’urbanistica concepiscono lo spazio in modo specifico, apparentemente autonomo. Affermi che districare le connessioni stabilite dalla storia, dal tempo, tra le differenti concezioni di spazio sia un compito infinito, ma assolutamente significante. E’ questo che persegui con il tuo lavoro?”

Sancho Silva: “Non esattamente. Non penso che il mio lavoro si sviluppi secondo un progetto filosofico preciso e determinato. Non è guidato da stretti principi metodologici . Penso che operi secondo una sua propria logica, e parlando concettualmente, i suoi movimenti sono piuttosto inesprimibili. Ciò che accade, una volta che guardo a posteriori il mio lavoro, è che provo ad adattarlo su uno schema concettuale. Lentamente questo schema concettuale guadagna terreno e inizia a prendere una direzione specifica che non è necessariamente parallela a quella del mio lavoro. Ciò che voglio dire è che esiste sempre una tensione tra il lavoro e lo schema concettuale che lo racchiude. Sicuramente lo schema concettuale influenzerà puntualmente la traiettoria del lavoro, ma non la guiderà. Detto ciò posso affermare di avere un grande interesse per la storia dello spazio, come sono cambiati i suoi limiti più remoti e la sua forma globale, com’è stato trattato dalla filosofia e dalla scienza, com’è stato articolato, categorizzato, costruito e rappresentato nel tempo, nella storia. Penso che ci aiuti a capire che cosa sia il concetto di spazio oggi, il modo in cui si estende, agisce e forma il mondo.”

P: Nella topografia individui un concetto di spazio altro che connette lo spazio noetico (mentale) allo spazio politico. Le tue costruzioni analitiche muovono dalla mappatura dello spazio che le assimila e, riconfigurandolo, tendono a creare dei sentieri percettivi obbligati. Come ti poni di fronte a uno spazio specifico? Su quali basi definisci le tue traiettorie?

S.S
: Riguardo al mio primo contatto con uno spazio specifico provo a cogliere le forze che operano in esso (siano esse sensoriali, ergonomiche, sociali, simboliche, ecc.). Credo che ogni spazio sia costituito da una moltitudine di forze simili che interagiscono costantemente e dinamicamente. In alcuni dei miei lavori è possibile che io agisca sull’organizzazione gerarchica di queste forze. Posso, per esempio, trasporre nel regno tattile una forza che normalmente si manifesta in una dimensione non-tattile. Posso anche provare a ridirezionare o limitare una specifica forza alterando sostanzialmente l’intero equilibrio del sistema. Suppongo che le traiettorie a cui facevate riferimento possano essere intese in questi termini. Derivano dall’enfatizzazione di una forza specifica (ad esempio un orizzonte visuale, una traiettoria ergonomica, una implicita barriera sociale) a cui è conferita una forma tattile. Spesso il risultato è che tale forza tradotta (o “tattilizzata”) finisca per interferire con altre forze creando un certo tipo di ambiguità spaziale.

P: Per l’immagine dell’invito di pinksummer hai scelto un pendolo, l’immagine del tempo, del dinamismo, del flusso del mondo fisico. Da qualche parte abbiamo letto che mentre una zecca può solo aspettare l’acido butirrico e dunque non oltrepassare il presente organico, noi umani possiamo aspettare Godot. Attraverso le costruzioni immaginarie i nostri orizzonti temporali diventano illimitati. Il concetto di limite riconduce allo spazio. Spazio e tempo coincidono nel tuo lavoro?

S.S: Ho sempre pensato al mio lavoro esclusivamente in termini di spazio. Solo recentemente, con un progetto che ho realizzato a Oporto, il tempo è entrato nel disegno. Ho detto prima che ogni spazio particolare risulta dall’interazione di una moltitudine di forze. Credo che ciò valga anche per il tempo. Dubito, comunque, che io abbia mai trattato il tempo in sé, in maniera pura nel mio lavoro. Forse con la musica lo si può fare. Ciò che mi interessa del tempo è la sua relazione con lo spazio: come può esso (o uno dei suoi componenti) influire sullo spazio, come può essere trattato in termini spaziali, come può una particolare organizzazione spaziale definire e articolare un tempo specifico.

P: Per certi versi il tuo lavoro rimanda al cubismo analitico di Picasso e Braque. Nel progetto Overviewer presentato nel 2001 al Museo di Serravals a Porto il visitatore poteva guardare attraverso un periscopio al di là del muro che fermava lo sguardo di chi si affacciava dalla finestra del museo. In qualche modo questo oltrepassare la percezione fisica attraverso un periscopio rimanda alla conoscenza, e ancora al tempo, quello della memoria attraverso la quale sappiamo anche quando non vediamo?

S.S: In Overviewer ho attaccato un periscopio nella parte destra di una finestra che altrimenti avrebbe guardato direttamente sul muro. La parte sinistra della finestra era lasciata scoperta. Quando guardavi attraverso la finestra tu potevi vedere la parte sinistra del muro e, sulla destra, un tunnel attraversava il muro rivelando la sua parte opposta. Il risultato era, da una parte, un’alterazione della struttura topologica dello spazio visuale: due posti che erano precedentemente disgiunti sotto il profilo visuale erano adesso visualmente connessi. Dall’altra parte, a causa di questo slittamento topologico, i componenti visuali dello spazio erano essi stessi separati da quelli architettonici ed ergonomici. Può essere che ci siano dei parallelismi col cubismo analitico, ma nel mio lavoro i componenti spaziali non sono separati nel tempo. Sono separati in sé.

P: Bachelard afferma che fuori e dentro formano una dialettica lacerante e la geometria di tale dialettica sconfina nel campo delle metafore che spazializzano il pensiero: la nettezza del si e del no, l’essere e il non essere, l’inclusione e l’esclusione… Stiamo pensando al Gazebo, la costruzione minimalista che hai presentato a Manifesta 4, ancora al progetto Overviewer del museo di Serralves e a Shortcut realizzato recentemente al De Appel. Perché il dentro e il chiuso dei tuoi lavori assimilano il fuori e l’aperto o viceversa?

S.S: Dentro e fuori sono relativi a un componente spaziale specifico che noi stiamo considerando. Il fuori visivo non è il fuori uditivo, il fuori architettonico non è il fuori sociale. Ciò che accade quando tracci una mappa sovrapponendo un regno con un altro, dove il fuori di un contesto può non coincidere con il fuori dell’altro, è di finire per esplicitare alcuni tipi di ambiguità spaziale. In casi estremi si può anche scalzare completamente questa dualità.

P: Hai detto che attraverso la decifrazione di uno specifico spazio si può scoprire l’organizzazione delle società, le loro pratiche i loro credo. E’ l’uomo il concetto centrale della tua poetica dello spazio?

S.S: No. penso che il concetto centrale del mio lavoro sia quello di spazio. Come per il tempo, sono interessato all’essere umano solo per ciò che riguarda la sua relazione con lo spazio. Come può diventare una forza nella formazione dello spazio e, d’altra parte, come può essere considerato un prodotto stesso dello spazio.

P: Hai una laurea in matematica e filosofia, perché hai scelto di operare nel campo dell’arte visiva?

S.S: Conferisco un grande valore all’immaginazione.

P: Una preoccupazione da galleriste: di fatto quella da pinksummer è la prima mostra in una galleria privata, il tuo lavoro, proprio come l’idea di spazio, esclude l’oggettificazione e muove sempre da una architettura preesistente. Come ti poni di fronte al mondo del collezionismo?

S.S: Non ho pensato molto a questo. Penso che le collezioni colgano sempre il modo per continuare a collezionare. Conservo progetti, disegni e modelli di ogni cosa che faccio. Se non resterà nulla del lavoro sullo spazio, suppongo si possa guardare ad essi e immaginare.

P: Cosa presenterai da pinksummer?

S.S:[nessuna risposta]