Sancho Silva

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Nei precedenti progetti da pinksummer, Sancho Silva si è concentrato su quelle che potrebbero essere definite strutture della percezione, sull’artificiosità delle differenti componenti che vanno a costituire la cornice spazio-temporale dentro la quale abitiamo e che ci forma come soggetti. In “Captor” (2003) considerò la galleria come se fosse una macchina per vedere e essere visti. In “Cyclopean Eye” (2007), Silva ha considerato nello specifico la città del Cairo e in generale l’idea di città intesa come dedalo infinito di traiettorie divergenti, dal centro alla periferia. Infine in “Satellite” (2007) ha focalizzato sulla mediazione tecnologica rispetto alle nostre mappe mentali di una città. Per questa terza personale da pinksummer Sancho Silva adotterà un approccio differente, non si concentrerà sugli elementi strutturali inviluppanti e elusivi, bensì su quello che è al centro, vale a dire gli oggetti che interagiscono direttamente con il nostro quotidiano. Semplici oggetti industriali come uno scopa o una forchetta, ma anche oggetti astratti come un numero o un’opera d’arte. Progetti che potrebbero essere definiti oggetti-specifici.
Focault nella prefazione di “Le parole e le cose” ha scritto che la sua archeologia del sapere nasce da un testo di Borges che altera la nostra pratica millenaria del medesimo e dell’altro. Borges in quel testo cita una certa enciclopedia cinese che classifica gli animali in: a) appartenenti all’imperatore b) addomesticati c) maialini da latte d) sirene e) favolosi f) cani in libertà g) inclusi nella precedente classificazione h) che si agitano follemente i) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello l) et caetera m) che fanno l’amore n) che da lontano sembrano mosche.
A proposito di questa riscoperta in chiave impossibile dell’ordinario, la mostra di Sancho Silva potrebbe essere riassunta nella domanda “quali sono i criteri per affermare che una data cosa sia?”. I criteri di tale conoscenza sono sempre più adatti a determinare l’identità delle cose piuttosto che la loro esistenza, giacché l’esistenza non è un predicato. Sancho Silva tende a fornire una base per determinare se una cosa sia reale o un’allucinazione, una contraffazione o una proiezione. Di fronte a domande semplici circa gli oggetti che strutturano le nostre vite talvolta infatti ci si può trovare davanti a sorprese, il ready-made rispetto al processo estetico è una di quelle. C’è comunque dell’altro: normalmente lavoriamo con oggetti tipo un tavolo, un cucchiaio, un pomodoro, ma ad esempio nella filosofia indiana, abbiamo letto, ci si può anche imbattere in un bastone che in qualsiasi momento e all’improvviso può trasformarsi in serpente. La conoscenza dunque non è solo un problema di descrizione corretta, possiamo definire tavolo ad esempio un tavolo dipinto? La ratio classica con risvolti metafisici di fatto avrebbe considerato tavolo anche la sua immagine (oggetto generico?), l’epistemologia moderna è più portata a delimitare l’oggetto attraverso una funzione trasformandolo in oggetto specifico. In questa inchiesta sulla conoscenza e le sue trappole Sancho Silva giunge a identificare l’oggetto estetico con l’ oggetto generico in quanto svincolato dall’ approccio di tipo strumentale e in virtù di ciò giunge sillogisticamente a assimilare l’opera d’arte all’immondizia cioè una serie di oggetti decaduti rispetto all’ idea di funzionalità. Guy Ben-Ner, ad esempio, nel suo film “I give it to you” risolse il problema analitico dell’oggetto estetico generico riassemblandolo in forma funzionale: “Testa di Toro” di Picasso, una scultura di Tinguely, la “Ruota di bicicletta” di Duchamp, diventarono una bicicletta da regalare ai suoi bambini per scorazzare nella città di Munster.
Per presentare o presentificare gli oggetti Sancho Silva ha pensato a un allestimento in galleria di tipo archeologico, disposizione che di fatto non cambia la sostanza degli oggetti in sé nel senso che una scopa rimane una scopa, trasforma piuttosto il modo di offrire tali oggetti alla conoscenza. Crediamo che tutto questo abbia sfumature di carattere fortemente politico.
A questa introduzione di pinksummer segue il testo dell’artista.

Considerazioni su Funzioni e Oggetti

Parlare di oggetti significa sempre parlare di limiti. C’è bisogno di un criterio per decidere se due dati oggetti siano effettivamente la medesima cosa. Ma, in prima istanza, per prendere in esame un oggetto, bisogna prima delimitare, o prendere una posizione.

Gli oggetti non sono scope, mele, pianeti, ma piuttosto particolari scope, mele e pianeti. Sfuggono sempre dal loro involucro concettuale, lasciando un residuo.

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Nell’industria capitalistica degli oggetti la società gerarchica che li produce brilla come un cristallo.

Il primo asservimento di un oggetto a una funzione ha origine con l’attribuzione a questo oggetto di un predicato P( ). L’oggetto funziona poi come una rappresentazione di P( ).

Gli oggetti funzionali sono necessariamente disciplinari, ci istruiscono sempre su una coreografia gestuale.

Gli oggetti possono essere presentati ancora, o ri-presentati. Come tali essi negano lo spazio-tempo. Un oggetto a è sempre in realtà una serie di oggetti a1, a2… in differenti situazioni spazio-temporali s1, s2… Essi servono a identificare o a correlare diversi punti nello spazio-tempo e quindi stanno alla struttura della memoria e dell’orientamento. Abolire l’oggetto è in questo senso sperimentare la liberazione dello spazio-tempo, sperimentarlo crudo.

Consideriamo la costruzione F(x) dove F( ) denota una funzione o un concetto e x denota un oggetto arbitrario al quale la funzione viene applicata. Se lo spazio-tempo è inteso come una specie di matrice per gli oggetti che esistono al suo interno, allora potremmo descrivere lo spazio-tempo come una funzione ST( ) che è applicata agli oggetti all’interno del suo dominio. Iniziando con un oggetto a, per mezzo della funzione ST( ), arriviamo a un nuovo oggetto trasformato b che è l’immagine di a sotto la funzione ST( ). In questo modo, per esempio, all’imputato a è applicata una sentenza di reclusione J( ), risultando in una nuova persona traumatizzata J(a)=b.

Tradizionalmente noi pensiamo che le funzioni rimangano le stesse mentre gli oggetti ai quali vengono applicate cambino. Ma non potrebbe essere anche il contrario? Non avrebbe più senso immaginare che, mentre vengono applicate agli oggetti, o a una serie di oggetti, anche le funzioni cambino, che gli oggetti trasformino la funzione alla stessa maniera in cui la funzione trasforma gli oggetti? Questo potrebbe significare, per esempio, che, quando usiamo un particolare straccio per pulire il pavimento non è solo il pavimento che cambia, ma anche la funzione dello straccio. O, nel caso del prigioniero, che nel corso di scontare la sua pena J( ), la funzione-pena stessa cambia, risultando in una nuova funzione-galera Ja( ) = a(J( )).

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Gli oggetti abitualmente indicano funzioni: sono normalmente identificati come strumenti. Nel processo di riferimento agli oggetti spesso usiamo una funzione alla quale li associamo, per esempio, quando indichiamo un oggetto dicendo “quel cucchiaio”. Questo significa che gli oggetti sono spesso costruzioni della forma S(a), dove S( ), si riferisce a una funzione che si suppone venga eseguita da un sub-oggetto a dell’oggetto originale. Spesso questo sub-oggetto può poi esso stesso essere ulteriormente analizzato in una nuova costruzione della forma a = Q(b), dove b è un sub-oggetto di a. Applicando ripetutamente questa procedura agli oggetti percepiti si arriva a quello che potremmo chiamare un oggetto estetico generico. Così, per esempio, un particolare cucchiaio di legno s può essere analizzato come un costrutto della forma

t = Spoon (Wood(…(x)…))

dove x è un oggetto estetico generico che noi rivestiamo con questi attributi.

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Gli oggetti estetici generici sono entità paradossali transitorie. In quanto oggetti estetici devono avere una collocazione, una forma, una misura, un colore, eccetera. Ma ancora non possono essere considerati come rappresentazioni di nessuno di questi attributi. Essi non hanno funzioni. Questo significa che se x è un oggetto estetico generico, non possiamo creare asserzioni riguardo la forma Blu(x), o “x è Blu”, perché per quanto x possa essere benissimo inteso come blu (o essere inteso come un secchio blu per quello che importa) nel momento in cui lo assumiamo come predicato lo trasformiamo nel nuovo complesso oggetto percepito y = Blu(x).

Definiamo ora la funzione estetica centrale A( ) come la funzione che, se applicata ad un oggetto percepito k = F1(… Fn(x)…), risulta nel suo oggetto estetico generico x:

A(k) = A(F1(…Fn(x)…)) = x

I musei applicano la funzione estetica centrale sugli oggetti che espongono al loro interno, spostando in questo modo i componenti funzionali di questi oggetti sullo sfondo. Questo spostamento è tuttavia solo temporaneo, perché i musei fanno presto a coprire gli indecenti oggetti esposti con la loro veste ufficiale di classe, valore e significato. I musei sono luoghi di rappresentazione e gli oggetti esposti al loro interno sono sempre usati funzionalmente per rappresentare una scuola, un concetto, una trascendenza…

L’oggetto estetico generico non può essere delimitato dal “retinale”. In esso siamo di fronte alla sospensione dell’approccio strumentale. Al di là di esso si raggiunge il magma indifferenziato della percezione. L’oggetto estetico generico vive nel punto di incontro tra questo magma e la memoria. Sul suo volto si sperimenta l’ansietà della dimenticanza.

Spostando un oggetto si indebolisce la sua funzionalità. Gli oggetti fuori posto catturano l’occhio. La loro modalità di relazione è il puzzle.

Tagliando un oggetto come un geologo si scoprono i suoi strati. Come le prugne, gli oggetti hanno semi, ossa e scheletri, ma non sostanza. Raggiungendo il livello astratto dello scheletro si ottiene un calcolo di possibilità.

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I frammenti di oggetti industriali buttati via testimoniamo la decomposizione dell’approccio strumentale. Sporchi, deformati, i pezzi di rifiuti frantumati non possiedono più la dignità o la capacità di rappresentare granché. Nel decadimento dell’immondizia in una sostanza amorfa, si intravedono le ombre degli oggetti estetici generici. Implicita nella funzione-immondizia giace la funzione estetica centrale.