Mariana Castillo Deball – Tamoanchan

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Pinksummer: Pierre Hadot affermava che è stolto giudicare come se si fosse i padroni della storia e citava Agostino quando diceva che chi giudica gli uomini non si limita a conoscerli, ma pretende che siano diversi da come sono. Cézanne, diceva che è il nostro egoismo che si riflette in ciò che percepiamo e Bergson elevava la veritas aesthetica come modello delle filosofia, insegnando a percepire fuori dall’asservimento dell’abitudine, come Roger Caillois ha suggerito nel suo trattatato Estétique generalisée. Tamoanchan, attraverso la ri-presentazione o meglio l’attualizzazione, di un mito e di un simbolo, appare un riconoscimento di appartenenza non più specifico a una civiltà, ma universale, che riconosce la natura come primo artefice.
Tamoanchan è una rappresentazione dell’albero cosmologico, dell’axis mundi della tradizione mesoamericana, ma anche l’immagine primaria del fitomorfismo creazionale comune a tutte le religioni. L’albero che congiunge il cielo al mondo sotterraneo contiene la metafora della caduta e la nostalgia ascensionale radicata all’immaginario simbolico dell’intera umanità. Come ti rapporti con questo archetipo della tradizione? Quale connessione esiste tra la mappa terrestre tramandataci da Hernan Cortés presentata all’Hamburger Banhof e la mappa celeste di Tamoanchan?

Mariana Castillo Deball: Tamoachan è il grande albero cosmico, le sue radici affondano nel mondo degli inferi e la sua chioma si innalza in cielo. Una nebbia lo copre alla base. I fiori incoronano i suoi rami. I due tronchi attorcigliati come in una spirale sono le due forze opposte che combattono per produrre il tempo.
Tamoanchan è uno nel centro dell’universo. È quattro in quanto insieme dei poli che dividono il Cielo dagli inferi. È cinque nell’insieme.
Tamoanchan è la metà dell’albero cosmico. Le sue radici profonde conformano il mondo della morte, da dove sorge la forza della rigenerazione. È anche uno dei due tronchi attorti: quello freddo, scuro e umido.
L’altra metà dell’albero forma i rami della luce e del fuoco dove si posano gli uccelli, le anime delle divinità celesti. Dal fogliame spuntano e scivolano i fiori dei diversi destini. Questo è anche il tronco caldo.
Tamoanchan, complessivamente, è guerra, sesso e tempo.
Le esplorazioni di Pedro Aramillas e José R. Perez nei limiti della vecchia città di Teotihuacan, hanno portato alla luce una serie di murali datati tra il 550 e 650 d.C.
Il murale di Tamoanchan/Tlalocan è uno dei più pregevoli. Nella parte superiore sorge, monumentale, un albero con un doppio tronco attorto su se stesso. È un albero carico di fiori di diverso tipo. Forse sono fiori ubriachi. Fiori che disturbano e trasformano i cuori umani. Dai fiori scende il nettare. I rami sono coperti di insetti, ragni e uccelli. È, senza dubbio, l’Albero.
Una figura enigmatica siede ai piedi dell’albero. È antropomorfa, ma le sue fattezze hanno prodotto diverse interpretazioni. Caso ha considerato che fosse Tlaloc il dio della pioggia che porta una maschera; Kubler ha parlato di un’immagine di culto femminile, non necessariamente una divinità; Miller ha proposto che la figura fosse di spalle; Sejourné ha considerato che nel personaggio si combinino elementi del dio della pioggia e di quello del fuoco e Pasztory, nello studio più vasto finora prodotto, sostiene che è androgino, che la scena è Tamoachan, che la figura è disposta in cima a una montagna e che contiene gli elementi della pioggia che Sejourné ha menzionato.
Ma c’è di più. Le due metà dell’albero hanno elementi opposti. Su una metà ci sono conchiglie, lumache, pesci, tutti elementi dell’acqua e del freddo. L’altra metà presenta fiori, minerali e elementi caldi.
Tra i rami freddi possiamo vedere insetti che salgono, farfalle che volano verso la parte superiore. Sui rami caldi ci sono ragni che tessono la loro tela e uno di loro sta chiaramente scendendo appeso a un filo al centro dell’immagine. Il ragno scende; ma è importante non solo perché sta andando giù. Pasztory ci fornisce un’altra intelligente associazione: il ragno è collegato alla polvere e alla siccità. Le forze che ascendono e discendono nell’albero sono collegate con il ciclo agricolo.
Troviamo ancora in questa immagine, sia nella figura che nell’albero, la lotta delle forze opposte.
Il murale di Tamoanchan è ancora oggi nella sua collocazione originaria a Tepantitla, nel sito archeologico aperto ai visitatori. Alcune parti del murale sono danneggiate, tanto che l’immagine non è completamente visibile, ma ci sono state parecchie ricostruzioni in altre collocazioni e documenti. Da pinksummer, il pavimento dello spazio espositivo mostra l’immagine ricostruita che non esiste tutta insieme, mentre sulle pareti sono presentati una serie di lavori su carta, stampati direttamente dal pavimento, che rappresentano le aree ancora visibili nel sito originale.

P: Città Del Messico sorge sulle ceneri di Tenochtitlan, l’antica capitale dell’impero nahuatl o azteco, di fatto azteco è un termine assai più tardo, coniato dal geografo Alexander von Humboldt, per distinguere la popolazione precolombiana dei messicani moderni.
Sembra che Tenochtitlan fosse stata fondata su un’isola al centro del lago Texcoco e considerata una città sacra al pari di Gerusalemme.
Ci viene in mente Distanza e Menzogna l’opera in cui il calco della tua mano in porcellana come battaglio, sottende all’impossibilità gestuale di bussare alla Storia, informata da un specchio che può solo riflettere il presente o frantumarsi. La mappa di Tenochtitlan, tramandata da Cortés e ripresentata nella mostra a Berlino, è una riverberazione secolare di Tamoanchan, dove la mitopoiesi pittografica colloca l’avvio al ciclo del tempo?

M. C. D.: Nel lavoro precedentemente esposto all’Hamburger Bahnhof a Berlino quest’anno ho fatto il primo pavimento in legno basato su quella che è nota come la pianta di Tenochtitlan di Norimberga.
Nel 1521, una lettera e due mappe arrivarono in Spagna per il re spagnolo. Questa era la seconda delle tre lettere che il conquistador Hernán Cortés inviò per descrivere la capitale Azteca Tenochtitlan che lui e i suoi uomini avevano scoperto e stavano per conquistare. La pianta principale era un’illustrazione dettagliata di questa città e l’altra mappa era uno schizzo della vicina costa del golfo Messicano. La mappa principale sembra riflettere la descrizione del conquistador di Tenochtitlan come una metropoli incantata, un gioiello che sorge al centro di un lago azzurro – una civiltà organizzata e ricca, ma anche una società idolatra incentrata sul sacrificio rituale invece che sulla luce della cristianità.
Tale descrizione di Tenochtitlan non servì solo a giustificare il costoso sforzo coloniale Spagnolo presso il re Carlo V; la pubblicazione del 1524 della mappa e la traduzione latina della lettera a Norimberga accese l’immaginazione e il cercò il supporto di un più ampio pubblico Europeo. Questa mappa fu la prima e la più diffusa immagine che gli Europei hanno avuto di Tenochtitlan e resta una delle poche mappe che abbiamo dell’impero Azteco pre-coloniale.
Alcuni archeologhi ora credono che questa mappa sia il risultato di molte copie che connettono il percorso dal Messico a Norimberga attraverso la Spagna, e del resto credono anche che la mappa originale sia stata disegnata da un artista indigeno. La rappresentazione delle file di case e della capitale dell’isola al centro di un lago circolare non solo deve essere trovata nella tradizione della cartografia europea, ma anche in quella Azteca. La mappa mostra anche particolari non menzionati nelle lettere di Cortés che tracciano riferimenti storici e religiosi Aztechi a quel tempo incomprensibili per gli Europei.

P: Hai sempre avuto un rapporto curioso, sfumato di ironia, manifestata talvolta nel paradosso, rispetto all’episteme e al dogma rigoroso tendente a abilitare il giudizio e a avvalorarne la veridicità attraverso il metodo. Ora ci hai condotto dentro alla topografia lussureggiante e mitopoietica di Tamoanchan, mostrandoci la capacità ordinatrice cosmetica del sacro, che per natura si oppone al caos e alle circostanze del divenire. Qui al meccanicismo opaco del progresso si sostituisce la dinamica rotatoria della ciclicità. Nel vegetalismo cosmogonico di Tamoanchan, l’arte della divinazione appare quasi probabile, come se lo slancio della natura, delle sue forme, fossero permeate di intelligibilità, come se l’assurdo potesse avesse una legge. Il codice fiorentino conservato nella biblioteca medicea laurenziana, rimanda l’etimologia simbolica di Tamoanchan al significato di “scendere a casa”. E’ azzardato intendere questo scendere a casa dell’uomo, come una prospettiva escatologica immanente a madre natura? Come ti poni di fronte al sacro e al magico?

M. C. D.:Tamoanchan è l’asse dell’universo e dell’insieme degli alberi cosmici. È dove è accaduto il peccato. Gli dei hanno messo insieme sostanze opposte, hanno dato origine al sesso e con questo alla creazione di un altro spazio, altri esseri, un altro tempo: il tempo umano. Per la loro azione peccaminosa, gli dei sono stati puniti: esiliati nel mondo della morte e sulla superficie della terra. Gli dei hanno iniziato una nuova forma d’esistenza: trasformati, hanno dato origine agli esseri di questo mondo; ma già infettati dalla morte, una conseguenza del sesso. La loro esistenza sarebbe stata limitata nel tempo, limitata nello spazio, limitata nelle loro percezioni. Avrebbero avuto in cambio la possibilità di riprodursi.

P: Tutto il tuo lavoro è attraversato dalla necessità di dare una consistenza materica all’astrazione, una fisicità al pensiero. Il tuo lavoro rimanda al concetto di traduzione, che implica l’idea di far passare, di condurre al di là, implica l’idea di percorso, di viaggio. Quando si intraprende un viaggio ci si lascia qualcosa alle spalle e si trova qualcosa di nuovo, di altro. Tradurre nel suo significato originario di condurre al di là, rimanda anche al verbo tradire inteso anche come consegnare trasmettere.
Perché ci hai consegnato queste cartografie trasmesse/tradite da percorrere?

M. C. D. : A volte uso il termine “possessione”, riferendomi al modo in cui mi rapporto con l’appropriazione, calandomi in modalità di lavoro diverse e cercando di seguirle. A volte può essere un esperimento formale, come quando provo a replicare la tecnica della scagliola. A volte si tratta di un approccio più intellettuale o narrativo, con cui provo a cogliere un certo modo di descrivere le cose, o di studiarle o di guardarle. Provo a assumere diversi punti di vista e diversi modi di relazionarmi al mondo. Questo comincia sempre con una domanda molto specifica, nel caso della mostra da pinksummer, è una domanda su come un oggetto sopravvive oltre se stesso; non è solo la cosa in sé, ma sono anche i fantasmi e le repliche che questo oggetto genera. Così poi mi concentro su questo problema e vedo come gente diversa si è avvicinata a questo oggetto dai loro differenti punti di vista. Forse è un esercizio di concentrazione. Penso che sia anche ritrovarmi in ciò che penso sia giusto, o reale o corretto. Adotto la posizione dell’oggetto e seguo il suo percorso.
Questa domanda mi fa pensare ancora allo storico Carlo Ginzburg. Uno dei suoi metodi di lavoro è denominato straniamento – usa lo straniamento come mezzo. Prova a ricollocarsi, a immaginare di essere un cavallo o un coniglio per capire qualcosa più chiaramente. Se penso a questo rispetto al mio approccio al Messico la cosa potrebbe essere applicabile, perché quando hai a che fare con la tua identità culturale puoi essere facilmente etichettato; potresti dire “sono un’artista donna messicana” o “sono un’artista donna messicana della donna che non vive in Messico ma che fa lavori sul Messico”. Ci sono tante cose in cui potrei essere intrappolata, quindi cerco sempre di fare attenzione per sfuggire a questi preconcetti. L’identità culturale del Messico è così forte e ha tanti livelli, così penso di essere come un giocatore di scacchi: sto provando sempre a cambiare la mia posizione