Tobias Putrih – Paradise

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Pinksummer: Nel catalogo della Manifesta di Francoforte nel 2002, come premessa alla presentazione del tuo lavoro, hai scritto: “Sto imparando a fare un oggetto, e questo per me rappresenta un lavoro duro, considerando che nella maggior parte dei casi preferirei che l’oggetto non esistesse”. Un pensiero negativo che echeggia “il grande rifiuto”, rafforzato dal metodo decostruttivo, dall’uso di materiali poco costosi, dal focalizzare su spazi sociali tendenti a indurre il sogno a occhi aperti, l’illusione collettiva, come il cinema o l’architettura del cinema (stiamo pensando anche a “Venetian Atmospheric”, il progetto che presenterai nel padiglione sloveno della 52 Biennale di Venezia). Marcuse sosteneva che nella società moderna l’alto livello raggiunto dalla tecnologia tende a integrare nel proprio sistema anche le forze che dovrebbero rappresentare l’antagonista, e non con mezzi coercitivi, ma attraverso il controllo psicologico e culturale. Cosa intendi quando affermi che nella maggior parte dei casi preferiresti che l’oggetto non esistesse?

Tobias Putrih: Semplicemente non sapevo perché avrei dovuto produrre un altro oggetto e nel contempo mi ritrovavo a studiare scultura. Forse è stato proprio questo dubbio etico a far sì che la ricerca della possibilità di un oggetto fosse veramente intrigante. Ma l’immediata conseguenza era che quasi tutto ciò che cominciavo a costruire si disintegrava. Per costruire, bisogna seguire le leggi di gravità, non c’è altra possibilità. Ero paranoico, avrei finito per fare oggetti grandi, pesanti e non ne sarei uscito. Cosa avrei potuto fare con un oggetto del genere? Come diavolo avrei potuto venderlo? Inoltre non puoi semplicemente buttare qualcosa di grande e pesante nel cestino della spazzatura. Devi pagare per lo smaltimento. In questo senso penso che tutti gli oggetti materiali abbiano una loro propria economia. Come possono essere fatti, come possono essere conservati e come possono essere distrutti. E interrogarsi su questo ciclo economico definisce ogni produzione anche di più che un’ampia cornice concettuale. Perché la teoria difficilmente rappresenta un’origine per un oggetto, se l’economia non supporta una produzione di un oggetto nessuna teoria ti può aiutare. Adesso dopo qualche anno posso dire di sentirmi molto meglio riguardo alla produzione di un oggetto. Penso di aver trovato una via per avere a che fare con un oggetto in modo meno conflittuale. Ho anche realizzato che dormo molto meglio se ho la sensazione che il mio lavoro abbia qualche tipo di funzione, qualche valore pratico. Quel che intendo non è che sia funzionale, ma è proporre concetti astratti che possano essere sviluppati in soluzioni utili. Con i miei progetti di cinema cerco di ripensare questi meccanismi di controllo psicologico e culturale. Sono curioso di sapere come si fa a dirottare questo tipo di meccanismo. Cosa ci vuole per amare un simile meccanismo così tanto da essere capaci di giocarci, di usarlo con un messaggio sbagliato o almeno differente. Conoscete cosa Miguel Sabido ha preso dal genere soap opera messicana? Ha usato il genere popolare per inserire il messaggio, per manipolarlo in modo da educare circa I problemi reali come il sesso sicuro, la contraccezione eccetera. E lui non era rivoluzionario, era un tipo con una soluzione pratica per dei problemi locali e le sue produzioni sono diventate delle hit assolute. Alla fine ha fatto un grande business, ma è stato capace di cambiare qualcosa. Per essere chiari il suo esempio non riguarda l’arte, riguarda la proposta di un concetto astratto e gli affari. Penso che questa sia una prospettiva piuttosto fresca.

P: Il tuo lavoro, insieme a quello di altri artisti della tua generazione (tra cui alcuni artisti che lavorano con pinksummer come Sancho Silva, con il quale hai realizzato il progetto che ha inaugurato il Mudam in Lussemburgo, o a Ceal Floyer) tende a creare una distorsione percettiva, una destabilizzazione della categorie intese come dato certo rispetto alla percezione del reale. Adorno afferma che nella società moderna l’arte d’avanguardia ha una funzione critica, non perché se la pone, ma in sé. L’estetica assume quindi la funzione di movimento contro una ragione ridotta a puro formalismo, contro una razionalità strumentale al dominio di un’amministrazione globale che conduce l’umanità a una nuova barbarie. Adorno voleva dedicare la sua Estetica a Samuel Beckett, il quale pur non dicendo mai, né con parole, né con immagini che la società moderna è un campo di concentramento, lo ha dimostrato attraverso l’assurdità del processo comunicativo. Credi nella funzione sociale dell’arte? Cosa rappresenta per te il Modernismo?

T.P: Suppongo che l’arte abbia qualche tipo di funzione sociale. Ma da un’altra prospettiva penso che l’arte abbia gli stessi problemi della scienza. Se una persona normale apre “Artforum” o “Science” ci aspettiamo che ne capisca i contenuti. Ma non sono sicuro che qualcuno possa acquisire molte informazioni leggendo queste due pubblicazioni al top di entrambi i settori. Una persona resta confusa perché non ha familiarità con il contesto e ci vuole tempo per capire il contesto. Io credo che arte e scienza teoriche o pratiche che siano, propongano e testino concetti astratti. Se cercano di coinvolgere altre persone lo fanno come esempio, come esperimento. Ci sono molte più applicazioni pratiche che usano la conoscenza astratta sviluppata o riflessa dall’arte, campi che hanno un’inferiore libertà sperimentale, ma un maggiore impatto sociale . E naturalmente la modernità ha dimostrato che la conoscenza può essere diffusa e specializzata fino all’assurdo. E proprio questo che m’interessa: questa beckettiana confusione di ogni sistema specialistico.

P: Ci sembra che il tuo lavoro abbia un carattere sistemico duale: da una parte decostruisci, scomponi l’oggetto esistente con una logica a ritroso atta a comprendere l’oggetto, quando la società auspica che l’oggetto venga consumato o anche soltanto comprato, compulsivamente. Dall’altra il tuo costruire oggetti ex novo (sculture? architetture?), rimanda a un processo organico che include l’idea di tempo, di sviluppo, di progresso. Stiamo pensando alla “Serie Macula”, le sculture di cartone sovrapposto, il cui processo costruttivo viene documentato dal video, che muovendo dalla razionalità geometrica del cerchio assimilano l’architettura a un processo biomorfico. Parlaci dell’influenza che hanno avuto gli scritti di Robert Smithson e Buckminster Fuller sul tuo lavoro rispetto all’idea di natura e responsabilità in relazione al fulleriano concetto di “livingry” esteso anche alle generazioni future.

T.P: Per esempio la “Serie Macula” era proprio un test dove provavo a osservare le dinamiche di persone diverse mentre tracciavano una forma, muovendo da un cerchio e passando il cerchio disegnato a un’altra persona e così via. M’interessava l’accumularsi degli errori. Era una specie di esperimento simil statistico senza reali statistiche. Il risultato era un oggetto dove ogni strato di cartone è tagliato secondo questa linea tracciata. Potrei dire che molti dei miei lavori hanno a che fare con una risoluzione. Per esempio in questo caso se la soluzione fosse stata un cerchio tracciato perfettamente ci sarebbe stato sempre un cerchio e l’oggetto finale sarebbe stato un tubo perfetto. D’altra parte la soluzione è anche un fattore chiave quando si osserva un modello, una maquette. In questo senso considero le “Macula” come una proto-maquette, come un non-paesaggio. In ciò ci può essere una qualche connessione con “il paesaggio entropico” di Smithson. D’altra parte ho con Fuller una relazione piuttosto ambivalente. Sì, ci sono I suoi concetti olistici tipo quello della “terra astronave” o quello delle unità abitative modulari. Ma un sacco di questa roba era la conseguenza dell’ottimismo del dopoguerra. Qualche volta ho avuto dei problemi a confrontarmi con queste idee.

P: Riguardo al Proun nel 1920 El Lissiskij scrisse: “Gli abbiamo dato vita con uno scopo: la costruzione creativa di forme (e, di conseguenza, la conquista dello spazio) attraverso la costruzione economica del materiale trasformato”. Siamo curiose circa quel lavoro presentato da Max Protech che hai chiamato “Unity: After Volkerbuegel by El Lissizky”(Unità: La staffa della Nuvola di El Lissisky). Hai costruito quel lavoro con i cartoni delle uova, e anche con qualche uova. L’uovo rappresenta qualcosa in potenza. Ci sembra che nel tuo lavoro l’idea di perfezione sia correlata a quella di modello, un oggetto “nearly finished”, ma autonomo, indipendente,ma aperto a differenti possibilità. Credi che l’etica rivoluzionaria, l’etica del cambiamento e forse dell’utopia debba conservare il concetto di dinamismo?

T.P: L’idea fondamentale di utopia è quella di generare una speranza in un domani migliore. Benché una simile affermazione suoni come un cliché è forse l’unica cosa che possiamo permetterci. Mi piace la posizione di Groys che sostiene come proprio questa apologia dell’impossibilità di una critica definitiva debba essere letta come critica. Suona come una sorta di compromesso, ma è un buon compromesso che ti dà la libertà di fare qualcosa di bello e perfettamente irrilevante. Si deve accettare il fatto dell’impotenza dell’arte per essere in grado di cominciare a risolvere problemi bizzarri, astratti o locali.

P: Raccontaci qualcosa circa il progetto Paradise che presenterai da pinksummer. Perché Paradise?

T.P: Il “Paradise” di Loews nel Bronx fu l’ultimo dei grandi teatri atmosferici di John Eberson. In un certo senso ha segnato il declino dell’età d’oro della produzione cinematografica dei tardi anni ‘20. Riesci a immaginare era l’anno del crollo di Wall Street e quella gente stava costruendo una delle più opulente ed eccessive sale cinematografiche d’America. Il solo costo degli uccelli impagliati, degli alberi finti e delle piante ammontava a più di 10000 dollari che allora erano un sacco di soldi. Sono stato semplicemente affascinato da quale grande meccanismo era stato messo in opera solo perché alcuni avevano capito che era il momento perfetto per fare qualche tipo di affare. La gente cercava la fuga dalla vita quotidiana e l’ottenne. Potevano trascorrere momenti fantastici in cambio di un biglietto davvero economico. E’ sempre questione di come, perché e con quale scopo manipolare. E le sale cinematografiche erano l’essenza del business, macchine da soldi. Ma questo è qualcosa che l’Europa non ha mai realizzato. Il fatto che si possono realizzare simili modelli di business e sovvertirli per qualsiasi scopo aggradi. E’ anche il motivo per cui il socialismo uscì dalla portata della gente comune. Perché non si può obbligare la gente a pensarla come te: si dà alla gente ciò che vuole e si manipola il contenuto. La performance da pinksummer nasce da delle prove che ho fatto durante la produzione del padiglione del cinema che costruirò per il padiglione nazionale di Venezia. Le linee marcate sul pavimento di pinksummer sono la pianta del padiglione del cinema. Volevo testare le dimensioni dello spazio in relazione alla scala umana così ho chiesto al mio assistente di costruire una semplice struttura per mostrare tutti I parametri dello spazio secondo la dimensione del corpo umano. Mi hanno mandato immagini davvero interessanti e ho pensato che poteva essere un ottimo punto di partenza per una performance.