Bojan Sarcevic – True Enough

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“…Diventa poi impossibile decidere se l’impressione di organicità è il risultato di tali incontri o l’origine della nostra attività di comprensione delle loro emanazioni”. Così concludesti, rimandando al fattore ermeneutico, quella nostra conversazione del 2005, riferendoti alle tue opere e da quel punto ci piacerebbe riprendere, ritenendo il momento esegetico, centrale rispetto al tuo percorso artistico e cognitivo o meglio artistico/cognitivo circa l’idea di realtà, parola che forse potremmo azzardarci a sostituire con verità, intesa come sostrato condiviso di ogni percezione possibile. Una volta ci dicesti che per te, come artista, la realtà è quel topo che è stato mangiato dal tuo gatto in giardino, riconoscendo un fondo di ineluttabilità agli incontri apparentemente accidentali. L’idea di interpretazione apre la strada al relativismo, e, rimanendo tra le quattro mura di pinksummer, pensiamo ad alcuni titoli di opere presentate da noi come “Truth is different” del 2002 o “Everything makes sense in the reverse” del 2005, ma il titolo di questa terza personale da pinksummer è “True enough”, che sembra non dubitare affatto dell’esistenza di una verità raggiungibile, seppure in modo perfettibile per approssimazione. Protagora scongiurava lo smarrimento nel relativismo arginandolo con il criterio di valore. L’interpretazione è il tentativo individuale di conquistare la conoscibilità attraverso il dominio dell’esperienza di ciò che ha fenomenalità, in nessun modo tuttavia l’opinione del sapiente, affermava quel saggio, è più vera dell’opinione di chi è meno sapiente, semplicemente la prima ha più valore della seconda e il valore condiviso avvicina appunto per approssimazione alla verità.
Rimanendo ancorate al fatto o meglio alla forma delle tue opere, è difficile spiegarlo, ma sappiamo che non ci accade spesso, si ha la fantasia che esse siano e basta, indipendentemente dalla volontà o dall’accidente. Come a dire che non si riesce, per assurdo, a pensarle in alcun modo diverse da come ci appaiono, e questo, in un certo qual modo le mette al sicuro dall’arroganza interpretativa.
Rispetto al concetto di interpretazione poi c’è chi dice che essa ha avuto la sua necessità solo con la perdita dell’intuizione sincretica tipica di un’età dell’oro primitiva, in cui l’uomo era natura e non altro da essa. C’è invece chi pensa all’interpretazione in senso positivista come progresso e allontanamento dell’umanità da una buissima età ferina. Nietzsche tagliava corto affermando che non esistono fatti, ma solo opinioni.
Susan Sontag, in “Contro l’interpretazione”, un libro che recentemente ci hai citato, interrogandosi sul ruolo della critica d’arte rispetto al dispotismo del contenuto sulla forma, tendente a riempirla piuttosto che ad accarezzarla, riconduce tale attitudine alla perdita del valore magico rituale dell’opera d’arte avvenuta con l’introduzione del dualismo platonico. Platone disconosce il valore dell’arte in sé, essendo essa mimesis di una realtà imperfetta, brutta copia dell’astrazione matematica dell’idea. Questo in campo estetico, nella fisica e nella metafisica è il corpo, con la sua tendenza all’obsolescenza, a farne le spese a favore dell’anima.
Aldous Huxley, che sotto l’effetto della mescalina, fu in grado di percepire “l’esistenza nuda” anche nelle pieghe dei suoi calzoni di flanella, disse che Platone commise un errore grottesco separando l’essere dal divenire, perché quell’azione lo rese incapace di vedere l’eternità nella deperibilità della rosa. L’ultimo numero dei Cahiers del Musée national d’art moderne ti ha dedicato venti pagine di portfolio, il titolo del tuo progetto è “La seule costante est le changement”.
Inseguendo la nostra ossessione per lo spostamento percettivo ci piacerebbe vedere una mostra rigorosissima “contro l’interpretazione” che racchiudesse il tuo video “Cover version”, insieme a “Goldberg Variations” di Ceal Floyer e magari a una declinazione del suono di Carsten Nicolai e a altre opere che adesso non riusciamo proprio a immaginare, opere che comunque ammesso che abbiano un’anima non sarebbe possibile pensarla disincarnata da un corpo decisamente glorioso.
E a proposito di carne e di estetica, talvolta estrema, la tua, ci stupimmo al Mambo di Bologna, vedendo in quei tuoi primi film incastonati come pietre preziose, comparire la carne, presentata come materia tra la materia, ma viva, pulsante.
In questa mostra la carne è corpo sotteso, potente e sublime (ci vergogniamo un po’ a scrivere questa parola esagerata), in quelle sculture dal titolo strano: “Stamina and the Muse”, sorta di pull-barr per l’exercitatio corporis da cui la pittura (ce la descrivesti come una sorta di frottage surrealista) cola fluida come un umore corporeo.
Sempre Huxley racconta come il curato di D’Ars soleva dire che nei giorni in cui era libero di flagellarsi, Iddio non gli rifiutasse nulla. I mistici e i contemplativi sembra che lavorassero sistematicamente ad alterare la chimica del loro corpo, anche attraverso lo sforzo, per creare le condizioni favorevoli alla locuzione celestiale. In questo senso la stamina, una sostanza che aumenta la resistenza allo sforzo, sicuramente può essere considerata propizia all’incontro segreto con la Musa.
Esteta si dice colui la cui preoccupazione è volta alla forme e ai loro rapporti entro il campo visivo del quadro (ancora Huxley). Quando vedemmo il tuo nuovo corpus di lavori disposti nello spazio bellissimo di De Vleeshal a Middelburg nella personale curata da Lorenzo Benedetti, gli stessi che presenterai da pinksummer, pensammo a un unico quadro. Le delicate sculture “Presence at night” costituite da forme organiche e naturali e la serie “Stamina and the Muse” ai lati, a parete, al centro le strutture ordinate e ordinanti semi-funzionali costituite dall’accostamento elegante di diversi metalli. La critica freudiana sarebbe tentata di ricondurre tutto all’es, all’ego e al super ego; un neo-platonico forse alla tripartizione dell’anima in irascibile, sensibile e razionale. La critica marxista non sappiamo bene come interpreterebbe.
Nel quadro comunque ogni forma risultava in equilibrio spontaneo in sé e per sé e rispetto alle altre forme e allo spazio, sappiamo che per te la spontaneità è risultato di un grande sforzo intellettuale e della disciplina.