Georgina Starr – The Joyful Mysteries of Junior

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Sull’ingresso del sito di Georgina Starr accoglie un cervello che galleggia nell’assenza di gravità del bianco. Sul cervello appoggia appena con un angolo, quasi fosse la puntina di un giradischi incantata su una parte corrotta, un trauma trasformato in ossessione, una carta degli arcani maggiori del gioco divinatorio dei Tarocchi. E’ l’imperatrice. La materia da cui è informato il cervello appare rosa, densa e sensibile; assomiglia a quelle gomme da masticare altamente performative, dal gusto esagerato, simile alla fragola, in genere irresistibili per i bimbi, ma di fronte alle quali gli adulti, in special modo se genitori, inorridiscono. In Italia questo tipo di chewing gum si chiamano “Big Babol” (babol è una storpiatura della parola inglese bubble, il significato è grande bolla) e, ai nostri tempi, girava una voce, di fatto inutilmente dissuasiva rispetto a quella curiosa “suzione” artificiale, diffusa probabilmente da un adulto-genitore, che contenessero grasso di topo di fogna.
L’imperatrice rappresenta invece la donna completa, capace di amore e di comprensione, la madre, la creatrice, colei che avendo potere sulla natura è l’imperatrice. Per gli gnostici è la Pistis Sophia. Quando, durante la lettura dei Tarocchi capita l’imperatrice capovolta, la carta perde il suo significato benefico, indicando la possibilità di perdersi nell’astratto, segnala limitazione della propria espressività, civetteria, immaturità. I bambini sperduti (orfani) nella storia di Peter Pan rimangono per tutta la vita “ageless”, senza età, fuori dal tempo. Quando Wendy chiede a Peter se sappia cosa sia l’amore, egli risponde seccato e evasivo che solo il suono di quella parola l’offende. Non a caso gli antichi saggi, da Pitagora a Platone, per conoscenza intendevano riconoscere, ricordare, fare emergere dalla memoria e ponevano la conoscenza in stretta relazione con la felicità.
Dietro a un bimbo smarrito, ci deve essere una madre che ha perduto il suo bambino, una madre smarrita, forse un’imperatrice capovolta.
Viene da associare l’immagine sul sito, il cervello rosa con sopra la carta, a un lavoro di Georgina Starr dal titolo “I Am the Medium”, si tratta di un disco in vinile in cui ogni solco è chiuso, ogni traccia si ripete all’infinito se la puntina non viene spostata manualmente. Viene anche da pensare che siamo tutti dischi, che talvolta suonano tracce di voci così aliene alla memoria cosciente, da apparirci minacciose rispetto all’idea che ci siamo fatti sull’ identità. “I Am the Medium” contiene 250 estratti di letture di medium spiritici, interpellati dall’artista per conoscere il suo futuro. Come i ventriloqui, anche se con altre modalità, i medium spiritici hanno la capacità (doppiezza, schizofrenia?) di parlare con due voci: la propria e un’altra che sembra provenire dalle profondità remote del ventre, usata nello stato di trance per canalizzare i messaggi dell’al di là.
L’opera “I Am the Medium”, può essere considerata il precedente immediato della quarta personale di Georgina Starr da pinksummer dal titolo “The Joyful Mysteries of Junior”, o anche la causa maieutica per la quale il pupazzo Junior, creato dall’artista a sua immagine e somiglianza nel 1994, parte di “The Nine Collections of the Seventh Museum” ( Cafe Schlemmer, Den Haag, The Netherland,1994; Brilliant, Walker Art Center Minneapolis, USA, 1995; Campo, Venice Biennale, Italy, 1995; Here and Now, Serpentine Gallery, London, 1995; New Photography 12, Museum of Modern Art, New York, USA, 1996), è stato riportato alla luce, dopo essere rimasto chiuso in una valigia per 18 anni.
La scorsa estate Georgina Starr, a proposito della mostra a venire, ci raccontò che i medium psichici interpellati per “I Am the Medium”, le predissero, con modalità vaghe e oracolari, una maternità, che in realtà l’artista non ha mai desiderato. Tale riflessione indotta sull’idea di maternità (sembra ridicolo a dirsi, ma non lo è per niente), ha fatto in modo che la valigia contenente uno Junior ormai diciottenne, seppure di necessità “ageless”, si dischiudesse: “Era il 1994 quando ho fatto Junior, ero in una stanza di albergo all’Aia dove dovevo soggiornare per due settimane. L’ho fatto per combattere la solitudine e intrattenere me stessa. Con Junior ogni cosa sembrò andare meglio”. Con Junior, Georgina Starr riuscì anche a ripetere “Long haired lover from Liverpool”, la sua prima performance sonora, preparata religiosamente per settimane, per la recita in un Natale d’infanzia. Nel 1974 la famiglia dell’artista adottò una piccina, due giorni prima del Natale dello stesso anno, l’agenzia di adozione richiamò indietro la bimba. La piccola Georgina interpretò comunque, sulla traccia pop di Jimmy Osmond, “Long haired lover from Liverpool” in quel Natale in cui sua madre colassò per le troppe lacrime.
Il lavoro di Georgina Starr nella sua dualità oppositiva e paranoica, in cui il gioioso e l’innocente si manifestano sempre congiuntamente a qualcosa di inquietante e profondamente sinistro in agguato, appare come una sorta di metodo, meta-odos, un cammino attraverso cui affrontare qualcosa di doloroso e, anche in questo senso, “I gioiosi misteri di Junior” celebrano il rimpatrio del noto, citando Remo Bodei. In un bell’articolo apparso recentemente sul Domenicale del Sole dal titolo “Piacere di fare conoscenza”, Bodei assimila questo percorso conoscitivo, meta-odos, che muove da qualcosa di ossessivo e traumatico, al gioco del rocchetto del piccolo Ernst di cui parlava Freud in”Al di là del Piacere”. Il gioco consisteva nel lanciare il rocchetto lontano (al grido di Fort,cioè via) per poi ritrovarlo (urlando Da, cioè eccolo), mimando nella dilazione temporale, l’angoscia per l’allontanamento dell’oggetto amato (la madre) e la felicità del ricongiungimento.
A ben pensarci tutti i progetti di Georgina Starr presentati da pinksummer, compreso il “Da” di “The Joyful Mysteries of Junior”, appaiono come un unico discorso che muove da una bambina scomparsa o smarrita: Bunny Lake, la sorellina, se stessa, per arrivare a parlare di madri assenti: quella di Bunny Lake, quella naturale della sorella adottata, della sua e forse anche di una madre mancata, se stessa.
In “The Bunny Lake Collection” informata e agita a Genova nel 2000, e poi alla Biennale di Venezia nel 2001, i bambini smarriti uccidevano, come spesso accade, le splendide adolescenti che avrebbero potuto essere.
In “Inside Bunny Lake Garden” del 2003, mostra presentata dapprima in scala reale outdoor a Villa Medici a Roma e poi in forma di modello da pinksummer, la claustrofobia era materializzata da un muro di mattoni rossi senza porte, senza via di scampo come certe infanzie. Bunny Lake è una bambina assunta da un film del 1967 di Otto Preminger “Bunny Lake is missing”, nel quale fino alla scena finale non si capisce se la bimba esista davvero o sia la fantasia malata di una donna isterica. Georgina Starr vide per la prima volta il film nel 1980, mentre stava facendo la babysitter alla sorella adottata, perduta e ritrovata, una bambina che non ha mai conosciuto la madre naturale e che nel corso della vita è andata smarrita più volte.
In “The face of Another” del 2007, Georgina Starr affronta direttamente il tema della madre, la sua, intesa come doppio in un ritratto sintetico e straordinario, presentato tra cocci di bellezza mai goduta e ingodibile, infranta dal male oscuro e sottile della depressione. Verrebbe da dire che, nel bene e nel male, non c’è nessuno che meglio della nostra discendenza, fosse anche un pupazzo, riesca a conferire il senso del tempo.
Lacan definirebbe probabilmente Junior il pupazzo “le petit object a”, un oggetto sostitutivo, una specie di sovrappiù di essere che nasce nel luogo di una mancanza. A differenza del simulacro e del feticcio, l’oggetto sostitutivo non nasce nel luogo di una mancanza simbolica, ma reale, dove cioè dovrebbe o potrebbe esserci quello che è assente e viene sostituito.
“The Joyful Mysteries of Junior” sarà un tripudio di cose, un mondo parallelo, come nella migliore tradizione della Starr: acquerelli, un piccolo palcoscenico, sculture, una cortina teatrale, video e fotografie di performer vintage intitolate “The Mothers”. Tante donne, future o possibili madri come ballerine di varietà, che assistono distratte e attonite a un ventre che cresce e cresce da solo, come un’alterità straniante, fino quasi a scoppiare.