Luca Trevisani – Clinamen

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Pinksummer: Hai chiamato il progetto che presenterai da pinksummer clinamen, il principio di declinazione, introdotto da Epicuro nel sistema dell’antico atomismo, fa in modo che gli atomi, durante la caduta nel vuoto infinito possono deviare in qualsiasi momento del tempo e in qualsiasi punto dello spazio per un intervallo minimo dalla linea retta e incontrare così altri atomi in modo da formare corpi composti. Epicuro affermava che vano è il discorso di quel filosofo che non curi qualche umana passione e che la filosofia non è di alcun giovamento se non libera dalla malattia dell’anima. La fisica epicurea è fortemente aporetica proprio rispetto all’introduzione della teoria del clinamen, di fatto la ragione fisica fu meno decisiva della ragione morale: nell’antico atomismo tutto avviene per necessità e in un mondo assoggettato al fato non c’è posto per la libertà umana e la realizzazione dei valori morali a cui Epicuro teneva tanto. Il titolo dato al progetto vuole aprire uno spazio ontologico a un’ideale di esistenza che coincide antillusionisticamente col tuo rigore formale?

Luca Trevisani: Sono sempre più interessato dall’indagine delle regole che si instaurano in una situazione comunitaria. Per farlo, in ogni lavoro, sento il bisogno di allestire un laboratorio in cui ricostruirle per testarle, metterle sotto esame, tenerle sotto controllo.
Quello che voi chiamate spazio ontologico per me è uno spazio in cui ottenere risultati, impugnando l’estetica come una scienza efficace, la storia delle idee come uno strumento, la forma come un punto di arrivo. Trovo che per parlare di esistenza non sia necessario mostrare il dato umano, per questo a volte ho lavorato con un gruppo affiatato di persone pensando soltanto a come riprodurne l’ingombro fisico.
Questa volta ho voluto lavorare con gli oggetti, come faceva il teatro del Bauhaus e delle avanguardie russe, guardando alle forme degli skatepark come a quelle di una cavea teatrale perfetta, e cercando il correlativo oggettivo più adatto ai miei bisogni.

P: L’immagine che hai scelto per l’invito rimanda a Francesco Lo Savio. Lo Savio come Epicuro aveva una grande fede nella ragione e nel ruolo dell’estetica e dell’impegno intellettuale per dare una soluzione all’ineluttabilità del destino umano. Entrambi cercarono rifugio nella ragione per sconfiggere l’irrazionale di un universo antiteleologico. Come l’atarassia di Epicuro non è inerzia, ma conquista sofferta della felicità tramite il logos, il breve, intensissimo percorso razionalistico e pertanto utopico di Lo Savio tende a armonizzare la relazione fra uomo e ambiente, non a caso muovendo dai dipinti spazio-luce, passando per i filtri, i metalli e le articolazioni totali giunge a progettare l’unità abitativa della maison au soleil, seguendo il dinamismo energetico della luce-vita. Una tensione aggettante, rigorosa e deduttiva che dallo spazio bidimensionale della pittura passando per la scultura è finalizzata a investire il reale per circoscrivere il male, per difendersi. Vengono in mente i versi del De rerum natura di Lucrezio: “né valgono i raggi del sole a sperder le tenebre e questo terrore dell’animo, ma solo lo studio del vero, ma solo la luce della ragione”. Sia Lo Savio che Lucrezio si accorsero che la fede nella ragione non è un rifugio adeguato perché essa resta tragicamente muta di fronte al nullificarsi dell’essere. Parla del dialogo a distanza con la vocazione razionalistica di Lo Savio.

L.T: Sono portato a pensare, e quindi a concepire i miei lavori, come una serie di livelli e di strati sovrapposti, il cui legame è frutto di ragionamenti arbitrari e contraddittori, ma che sono capaci di condurre verso strumenti visivi efficaci. E’ questo che mi interessa.
La luce e il dinamismo suggerito dalle opere di Francesco Lo Savio mi affascinano per la loro musicalità. Dico musicalità perchè si tratta di intendere la vita della materia, e l’esistenza in generale, come un flusso ininterrotto, fatto di pulsazioni e di diverse intensità. La musicalità di un suono è complessa e sfuggente; in fin dei conti di un suono non si può prendere uno still, come lo si può fare di un’immagine, sia questa ferma o in movimento. Non si può ridurre un suono ad un’entità minima. Questo è molto importante, perché costringe ogni volta a una ricerca, a un rapporto attivo e scomodo con le cose.

P: Una volta hai detto: “il mio lavoro è un’indagine plastica del sottile confine che corre fra il piacere della condivisione, le certezze che ricaviamo dal confronto e la violenza che vi si nasconde. La scultura mi permette di disegnare una realtà ipotetica in cui assodare la mia analisi, dove è basilare la forma autonoma che assume la materia, dando sostanza alle immagini del pensiero”. Parli di un’esperienza biunivoca, concava e convessa: se da una parte lo spazio estetico ha una sua autonomia formale espressiva entropica che nega la rappresentazione, dall’altra affonda le sue radici nel sociale e implica il concetto di rappresentazione. Parlaci di questo dualismo.

L.T: La comunicazione migliore è quella che seduce, non quella che vuole dire tutto, ma quella che è fatta di accostamenti e di spifferi. Credo in un’estetica del frammento: il frammento è il germe di qualcosa che vale ben più di un significato, è la spinta ossessiva a essere completato. La condizione di frammento intensifica il senso, acuisce lo sguardo dell’osservatore, gli chiede di costruire il senso delle cose unendo indizi disseminati nello spazio. Parlo di indizi perché sono portato a leggere e vivere l’ambiente con una sensibilità che mi sento di chiamare noir, perché lo faccio accostando dettagli limitati e inquadrature irrigidite, per circoscrivere atmosfere molto definite.
Ridurre lo sguardo a una sequenza di dettagli essenziali fa in modo che non ci occorra un “senso muscolare” per avere un rapporto con il mondo. Sono convinto che lo spettatore debba considerarsi un estraneo rispetto all’oggetto che si trova davanti, sempre. È l’unico modo che ha a disposizione per partecipare.
Voglio che i miei lavori e i miei video deludano lo sguardo che cerca o aspetta un evento, perché quello che mi interessa è mettere davanti a una presenza, e a nulla più.
La tendenza all’astrazione elimina la possibilità di momenti forti e rafforza il senso di distanza dalle cose.

P: Hai detto di condividere l’ossessione compositiva legata all’elemento sferico con Florence Henri. Come ha osservato Guido Molinari in un recente articolo su Flash Art Italia, la forma geometrica della sfera con i suoi confini precisi rispetto a ciò che sta all’esterno sembra nel tuo lavoro la metafora di una chiusura nell’individualismo e in questo senso ci sembra una rappresentazione della socialità del nostro tempo, dove i legami sono facili da instaurare quanto da smantellare, non hanno ancoraggio emotivo, tutto è liquido e fluttuante, gli equilibri sono maledettamente provvisori. Esiste l’individuo e il vuoto, ma non c’è il senso del tragico perché come afferma Bauman il nostro tempo ha scambiato la grande banconota della felicità con una manciata di monetine di piacerini rapidi a venire come a andarsene che aiutano a togliersi dalla testa la preoccupazione della felicità. La Provvisorietà, e la concrezione casuale sono ricorrenti nel tuo lavoro: si può credere ancora nella res publica?

L.T: Non so bene da cosa nasce la mia ossessione per la forma circolare. La sfera è la monade di Leibnitz, funziona come una sineddoche, finendo per evidenziare la necessità di un collegamento tra parti di mondo che non lo prevedono. Guardo alle sfere pensando al filo che le collega e le rende una collana, o una rete, comunque un insieme. Mi interrogo sulla sua presenza o sulla sua necessità. Penso sia importante non arrivare ad un dato definitivo.
Se questo filo esiste è meglio che sia elastico e trasparente, potenziale e non permanente, suggerito e non dato per scontato.
Tutto il processo contenuto nella mostra è iniziato con la costruzione di un piano inclinato, dove ho fatto scorrere delle sfere di ghiaccio. Le sfere di ghiaccio mentre scorrono si consumano; sono solo un momento nella vita delle molecole d’acqua, per un attimo bloccate in una forma geometrica, per poi tornare, a forza degli scontri con altre sfere e del calore atmosferico, alla forma liquida, che in qualche modo è collettiva, perchè tutta l’acqua torna a unirsi in un’unica sostanza indivisa.
Voglio però precisare che non mi interessa l’aspetto narrativo di questo processo, o il fatto che in un dato periodo di tempo l’azione si consumi. Mi interessa la liberazione di energia, reale ed immaginaria che avviene negli scontri, il lavoro collettivo, i cambiamenti di rotta.

P: Lipovetsky sostiene che skate-board, windsurf sono l’illustrazione sportiva della società della glisse, che scivola veloce in superficie senza penetrare. Nel video che sarà una delle opere presentate da pinksummer hai lanciato delle sfere di ghiaccio lungo una rampa da skateboard. Una volta ti abbiamo sentito dire che Lo Savio è uno skater, ci spieghi.

L.T: Mi interessava testare il comportamento di un gruppo di sfere lungo una parete inclinata.
Guardando con distacco il video che stavo realizzando mi sembrava di osservare il pensiero di Lucrezio illustrato in un documentario scolastico girato da Ed Wood, con un’estetica da anni sessanta. Avuto poi la consapevolezza che formalmente mi stavo appoggiando, perché si tratta di un appoggio, al lavoro di Lo Savio, non restava che portare questo dialogo a distanza sino alle sue estreme conseguenze, mischiando le carte con coraggio e cognizione di causa.
Le teorie di Lo Savio su luce e spazio confermavano le mie intuizioni. Un calco della Maison au soleil, guardato con poca attenzione, sembra uno skatepark in miniatura. Una sfera di ghiaccio è un Filtro, è una porzione di spazio che si condensa e analizza la luce che la attraversa.

P: Descrivi fisicamente come apparirà il progetto clinamen in relazione allo spazio di pinksummer.

L.T: Il progetto si articola in diversi oggetti e un video.
Il video è stato girato in uno skatepark, facendo scivolare diverse decine di sfere lungo i pendii artificiali, registrandone le immagini e i suoni.
Le sculture visualizzano parti del video, e sono ottenute partendo dal lavoro scultoreo di Lo Savio, trattato come un bacino formale e concettuale con cui dialogare, e di cui espandere i preusupposti.
Completano il progetto Gibbosa e sfuggente, una coppia di sfere che visualizzano e tentano di misurare il moto della luna attorno alla terra; ancora una volta un moto di sfere, un passaggio da luce a ombra, un movimento ondivago senza soluzione e senza fine.
Vicino alle due sfere se ne trova una terza, completamente trasparente, in cui è affogata, al centro, una clessidra. Lo scorrere del tempo diventa un moto ininterrotto, e lo spazio una unità di misura temporale.