Amy O’Neill

“I am interested in the Tournament of Roses and specifically its floats for their temporary status as monuments of popular culture because their guise is so ridiculously whimsical in contrast to the propaganda that is transmitted (a very powerful thing)”.
Questa semplice frase di Amy O’Neill sul tema che ha ispirato il nuovo progetto che presenterà da pinksummer, contiene l’essenza del suo lavoro, volto a scoprire i resti di un barocco delirante che in passato ha costituito l’espressione della concezione popolare del mondo e della vita.
Il Tournement of the Roses è una parata che si tiene ogni anno, dal 1890, a Pasadina’s Valley in California, organizzata inizialmente dal locale circolo dei cacciatori, un membro del quale sembra avesse assistito alla Battaglia dei Fiori del carnevale di Nizza.
Nel corso del tempo i carri tematici, interamente costituiti da fiori, hanno assunto una connotazione fortemente nazionalistica di stampo idilliaco/commerciale, con titoli del tipo “American the Beautiful”, e sono stati sponsorizzati a fini propagandistici da compagnie quali Kodak, Union Oil Company of California, Panda Express Gourmet Chinese Fast Foods, per citarne alcune. In poche parole, rovesciando le riflessioni di Goethe sul carnevale romano, il Tournement of the Roses di Pasadina’s Valley ha cessato di essere uno spettacolo che il popolo offre a se stesso, per trasformarsi in una festa offerta al popolo e per cui ci si aspetta che il popolo manifesti riconoscenza comprando e consumando i prodotti che vi si reclamizzano.
In generale l’aspetto del lavoro di Amy O’Neill è decisamente poco letterario, opponendosi all’estetica dominante del cool o perlomeno del sublime, assomiglia in arte a quello che può rappresentare il paradosso in logica.
Gli chalets svizzeri della O’Neill, guarniti di cornice rustica in pino massello, che vedemmo forse per la prima volta alla fiera di Basilea, sono eseguiti con la perizia artigianale del produttore di souvenir, caricati di tipico, ma si tratta di una tipicità che colorando il mondo con toni troppo accesi finisce per negarlo.
Il lavoro di Amy O’Neill, un’americana che vive a Ginevra, ruota intorno alla cultura di serie b, che non va confusa con il fascino esercitato dal kitsch in sé e per sé sull’intellettuale snob, ma è piuttosto una dissertazione filologica sul folclore, condotta visivamente con grande efficacia, che si tratti di disegni o di grandi installazioni, che si rifaccia al folclore svizzero o a quello della vasta provincia americana delle “no-man’s land of highways and small-town”.
Il folclore è inteso dalla O’Neill, all’interno della sua particolare indagine sull’evoluzione dei costumi, come una progressiva riduzione e imbastardimento del realismo grottesco che con le sue forme mostruose, temporanee e fluttuanti si manifestava sulla piazza e rappresentava l’espressione autentica della piazza per esorcizzare la paura. Quando la cultura popolare si scatenava ai margini dell’ufficialità, nelle proprie isole spaziali e temporali, si opponeva con tutta la sua carica dirompente all’autorità dominante relativizzando verità e gerarchie.
Di quei carnevali e di quelle fiere non rimane che l’involucro iperbolico della parodia, il dramma e l’ironia vibrano solo nelle rappresentazioni della O’Neill, mentre constata che anche ricercando nelle sacche dei folclori locali non esiste più una concezione dualistica del mondo e della vita, quella del popolo, al più è l’economia a sdoppiarsi e a farsi mitica e fiabesca per rivolgersi al basso reddito, al pubblico popolare.