Ab urbe Genua duo lykanthropi Romae – Cesare Viel – Luca Vitone

La doppia personale di Cesare Viel e Luca Vitone da pinksummer goes to Rome, tratta di deformazione e ricomposizione e forse anche di scompaginazione e riscrittura, muovendo dall’ineludibile principio d’ immanenza dell’opera d’arte. La trasformazione della forma nel caso specifico appare spinta dal desiderio di esplorare altre, delle diverse possibilità che l’attitudine e le forme, per forza devono rilasciare.
La mostra in qualche modo fa pensare all’arte del recupero e alla cucina degli avanzi della tradizione ligure e genovese. Al contrario di quanto si immagina la cucina degli avanzi non era solo appannaggio delle classi povere attente a far quadrare le proprie risorse. Nelle casate aristocratiche vigeva il detto “un buon pasto dura tre giorni”. Anche a Genova il cibo veniva usato per stupire, mostrando attraverso le tavole imbandite averi e potere. Più il pasto era ricco di portate, più avanzi rimanevano. E pertanto in una terra per cui lo spreco, al di là della classe sociale, è tradizionalmente inconcepibile, cuochi e massaie si destreggiavano con gli avanzi tirando fuori pietanze speciali.
Cesare Viel e Luca Vitone, il cui percorso procede parallelo da circa un trentennio e per parallelo s’intende citando Viel alla lettera “ una profonda condivisione di punti di partenza che sono campo vivo di dinamiche, una sorta di riconoscimento da lessico familiare, come sentire suoni e segni linguistici esistenziali dentro a una grotta, al buio e riconoscersi d’istinto, con segnali prelinguistici emozionali”, presenteranno una mostra fluida e mutaforme, muovendo da opere pre-esistenti.
Cesare Viel ritorna per la mostra romana sui feltri tratti dalle figure e dagli sfondi dell’opera matissiana, gli stessi che in “Infinita Ricomposizione”, l’ultima personale dell’artista da pinksummer a Genova, erano usati come materiale performativo, per saturare lo spazio, lo sfondo reale della mostra, con una dinamica serrata, come sopraffatta dall’ultra-colore di Matisse. Tuttavia se il lavoro di Viel contiene una tensione verso l’assoluto, per l’artista l’assoluto assume sempre i connotati del relativismo, un relativismo che prima di essere culturale è etico traducendosi nel rifiuto, che contraddistingue tutta la sua opera, di qualsivoglia determinismo assiomatico e gerarchico implicito nella fissità, fosse anche quella del genere.
A Roma i feltri hanno un ritmo autonomo e indipendente, presentandosi pre-ordinati in soffici mobiles fluttuanti nell’aria, come “Apparati del Buon Umore”. Opere tattili per il “toucher actif”.
Luca Vitone presenterà due dei tre “scompaginamenti spaziali”, come dispiegamento in successione del processo che ha condotto alla realizzazione di un libro, che l’intenzione avrebbe voluto essere altro, ma che la circostanza ha fatto implodere in un diario di sentore beckettiano. Dove l’eventuale fallimento registrato in “Effemeride Prini”, pubblicato da Quodlibet, non appare poi tanto accidentale, considerando che la scommessa, rispetto alla residenza a Roma all’American Academy, avvenuta nel 2008, era quella di “fotocopiare la voce” di Emilio Prini. Un pianeta, la cui posizione, si sa, è sempre stata remota e sfuggente. Tuttavia è proprio la maniera con cui Vitone si destreggia con l’idea di fallimento che rende questo libro speciale. A differenza dei personaggi di Beckett, Vitone non gira come un criceto nella ruota, conferendo al vuoto, ammesso che esista, una sorta di cornice, che in altri tempi, avrebbe potuto avere la valenza positiva dell’ozio, atto a trasformare l’attesa chimerica in contemplazione produttiva.
Ogni pagina, presenta in alto una data strappata, nei giorni, da tre diversi quotidiani, mentre in fondo, a chiusura di giornata vengono nominati i piatti prelibati della cuoca dell’American Academy, accompagnati dall’accostamento appropriato del vino servito. I dialoghi al centro della pagina, trasformano via via Prini nella creatura leggendaria di un mito sull’origine.
Viel dal canto suo, aveva già ricondotto altrove Henri Matisse, l’altro grande assente della mostra, alla sua personale primeva origine.
La mostra s’intitola: “Cesare Viel e Luca Vitone. Ab urbe Genua duo lykanthropi Romae”, tanto per richiamare in modo celato, il pop e l’orrore di quegli anni ’80 in cui Cesare Viel e Luca Vitone, assieme, fecero la loro prima mostra.