Alis/Filliol – Invernomuto – The Ifth of Oofth
pinksummer: Che titolo potrebbe avere la doppia personale di Alis/Filliol e Invernomuto da Pinksummer Goes to Rome, se dovesse averne uno? The Ifth of Oofth, ci sembra pertinente, richiamando il racconto sci-fi di Walter Tevis del ‘57, considerando l’iper-volume della mostra diadica: doppia personale, doppia coppia di artisti, includendo la “doppiezza” di pinksummer, viene da citare Asimov “proiezione bidimensionale distorta dalla proiezione tridimensionale distorta dal tesseratto quadrimensionale” o ipercubo inteso anche come ombra del cubo. Senza tralasciare che sia Invernomuto che Alis/flliol avete una certa propensione a allargare i volumi angusti, che siano quelli della provincia e della Storia, che quelli della scultura e della tridimensionalità, lasciando fuoriuscire dalla realtà aumentata forme informi di demoni, alieni e distopie, come se il presente venisse platonizzato attraverso la proiezione geometrica di un’ombra congetturale che tuttavia appare plausibile, considerando che il giuramento di Donald Trump all’America assomigliava alla proiezione di una puntata dei Simpsons. Kant parlava di doppio identico e incongruente rispetto alla mano destra e alla mano sinistra e diceva anche che lo spazio e il tempo non sono proprietà inerenti alle cose, ma semplici forme dell’intuizione del sensibile. Si potrebbe paradossalmente dedurre che se dentro alla geometria euclidea Alis/Filliol e Invernomuto appaiono “incongrui” sia in senso relazionale, che assoluto, rispetto alla ricerca dei collegamenti della realtà ordinaria con dimensioni sconosciute sembrate identici. E’ la dimensione del fuggitivo che vi accomuna, che titolo dareste alla mostra?
Alis/Filliol: Per iniziare ci piacerebbe fare alcune istintive considerazioni a livello generale sul lavoro di Invernomuto, tenendo presente i due fattori più immediati che ci accomunano: ossia il fatto di lavorare in coppia e la spinta verso un linguaggio che proviene da un’altra dimensione.
A nostro parere il vostro lavoro si struttura anzitutto come un forte impianto scenico di chiara ascendenza cinematografica e musicale che ci sembra volutamente ostentato, quasi a rimarcare il carattere di finzione dell’impianto stesso.
Il gusto dell’arcano, del grottesco e del pop cercano un sottile senso armonico.
Ci sembra una scenografia che combaci con una narrazione che si sviluppa per frammenti. Questi frammenti sono oggetti enigmatici in grado, in primo luogo, di dialogare tra loro generando un senso immanente rispetto all’esperienza dello spettatore, e in secondo luogo di comunicare una narrazione invisibile. Questa “seconda narrazione” è una sorta di legame superiore che trascende gli oggetti e le persone e li proietta in un mondo immaginifico. Sebbene questo mondo sia costituito da riferimenti storici, contiene già in sé l’amalgama di reale e “sovrareale” che è proprio di una dimensione immaginaria.
E’ come se il flusso del vostro immaginario si scontrasse contro i vostri corpi sparpagliandosi in pezzi e il fascino che ne deriva, ancor più che nel singolo pezzo, consiste nell’eco di questo impatto.
La costruzione di un ambiente pervasivo include il corpo allo stesso modo in cui l’ambiente è incluso nella narrazione superiore.
Domande:
Quali artisti vi interessano? Qualcuno che proprio venerate? (In ogni campo dello scibile).
Film o libri o album potenti e ispiratori?
Domandone finale:
Ha ancora senso parlare di aura a proposito di un singolo oggetto? E che cos’è per voi?
Queste le prime considerazioni “a caldo”… aspettando una vostra risposta.
Poi c’è la questione titolo. Quello suggerito da Antonella e Francesca non suona male, ma il racconto non lo conosciamo..
beh per ora è tutto.
Invernomuto: Iniziamo dal titolo: THE IFTH OF OOFTH. Avete visto la copertina dell’Urania dov’è contenuto anche quel breve racconto di Walter Tevis?
Alla domanda: Quali artisti vi interessano? Qualcuno che proprio venerate? (In ogni campo dello scibile), risponderemmo semplicemente con: Harry Smith.
E’ interessante com’è posta la vostra domanda sull’aura.
Forse è più facile trovarla in una costellazione di oggetti più che in un unico elemento. Potrebbe aver senso parlarne rispetto a uno spazio che viene costruito scenicamente, architettonicamente. Si è mai parlato di aura del suono? O di aura dello spazio? Esiste l’aura sulla Luna?
Tempo fa abbiamo fatto una mostra insieme a Milano, in quel caso avete presentato due teste realizzate in grasso. Un materiale che non secca mai, e dunque mutevole per sua stessa ammissione. Perché vi interessava il grasso?
Ieri in studio si parlava del termine “simulacro”, io, Simone, sono molto affezionato a questo termine, ma Simone mi ha detto che è un termine “così anni ’90”.
Quando penso alla Scultura, penso sempre all’idea di simulacro. E voi?
Mattia invece, il nostro assistente, ci parla spesso di un suo amico e per difendere il suo lavoro dice: “E’ uno scultore”. Quasi come se questa sua scelta lo separasse da tutto ciò che è una discussione se vogliamo più politica dell’opera d’arte.
Voi vi definireste scultori? Io, Simone, sono un grande fan del termine francese “plasticien”.
A/F : Nella mostra che abbiamo fatto insieme esponevate due lavori. Uno in particolare era molto interessante. Si trattava, se ben ricordiamo, di una grande scultura presentata in pezzi. Invece di riportarla alla sua forma iniziale avete deciso di posizionarne alcune parti nello spazio, lasciando che si vedesse anche l’anima interna di polistirene. Rinunciare all’impatto del pezzo singolo di grandi dimensioni, alla sua presunta integrità e autonomia, andava a favore di un’idea di fluidità del segno e di volontà di contaminazione del luogo. Definireste il vostro segno ipertrofico?
Il lavoro Fratelli è di grasso industriale, in effetti un materiale instabile che secca con tempi molto lunghi. Per noi conta soprattutto l’oggetto reale che si può incontrare in mostra, con le sue qualità plastiche, tattili, di colore e di immagine, rispetto al concetto di instabilità della forma. Due volti che si fronteggiano, che si guardano, legati a stretto giro. Ecco lo sguardo è molto importante, perché anche se simulato, tendiamo a percepirlo come esistente, vivo, fastidioso quasi. Siamo tutti un po’ ossessionati dagli sguardi, sguardi fissi che attraversandola compromettono l’aria, rubandoci spazio.
Pensiamo sia molto forte l’idea di incontrare una presenza statica, inedita e intraducibile; un fermo-immagine incastrato nella realtà quotidiana, la quale si impone invece come flusso, movimento virtualmente scontato. Qua sta forse una parte della risposta alla domanda sul simulacro.
Una questione tra quelle possibili: riguarda quelle rare immagini che hanno poco a che fare con la comprensione, la spiegazione, la comunicazione; e hanno invece qualcosa della complicità.
IM: A noi interessa un simulacro quando diventa più reale del reale, come in un gioco di ruolo, o un multiverso. Non è mai stato così reale!
È verissimo siamo tutti ossessionati dagli sguardi. Wax, Relax – vi ricordate bene, non era mai stata presentata così, ma assemblata per formare una copia della copia della copia (ancora simulacri) di una grotta di Lourdes. In quell’occasione l’abbiamo disseminata in quell’enorme spazio a Lambrate per creare un paesaggio. Quelle masse di cera e polistirene (e sporcizia raccolta man mano), creavano dei piccoli punti di osservazione possibile sul resto della mostra (ancora l’ossessione degli sguardi).
Ps: Lo sapete che lo spazio di via del Vantaggio 17/A a Roma è stata una galleria in cui hanno esposto gli artisti della Scuola di via Cavour, Antonietta Raphael, Mario Mafai, Scipione… Tendiamo a sottostimarlo, anche rispetto all’aura.
Siamo appena state all’inaugurazione della mostra in Triennale a Milano “ Giuseppe Iannaccone: Italia 1920-1945”, tra i Chiaristi Lombardi, i Sei di Torino, gli artisti di Corrente, c’era anche la Scuola Romana. Ci è subito saltata in mente la mostra sovranazionale al Pompidou del 1980 curata da Jean Clair Les Réalismes entre révolution et réaction 1919-1939. La mostra analizzava come dopo la sovreccitazione degli “ismi”, nel periodo tra le due guerre, si fosse manifestato in tutta Europa e anche negli Stati Uniti (la mostra includeva anche i precisionisti americani Demuth e Sheeler), la necessità di un ritorno alla figurazione, un sorta di richiamo all’ordine a favore della tradizione. Sensibilità che si manifestava al di là degli orientamenti ideologici, seppure li includesse nelle peculiarità nazionali inconfondibili.
Non abbiamo trovato eccentrico che un collezionista nato nel 1955 abbia iniziato comprando Mafai e Birolli, è accaduto spesso, ma piuttosto che, avendo proseguito a collezionare, abbia scelto questo nucleo di ben 200 opere per rappresentare il sé nel 2017.
Per uscire dalla mostra felicemente sovraffollata “Italia 1920-1945” si doveva passare dentro alla mostra Elegantia curata da Francesco Garutti degli artisti belga Jos de Gruyter & Harald Thys, che appariva una specie di immacolato ritorno al futuro. E’ stata davvero un’esperienza straniante!
Cosa intendeva il Simone di Invernomuto che non scriveva, affermando che la parola simulacro “è così anni ’90”: post-moderno all’apice, manierista? Non credete che categorie come barocco e manierista, moderno e post-moderno, siano applicabili a tutti i corsi e ricorsi storici? Quando Alis-Filliol citano l’aura, cosa intendono energia, corpo eterico o semplicemente strategia di allestimento per conferire una metafisica che la vita tende perlopiù a sgamare subito? Il racconto di Walter Tevis in italiano è stato tradotto con il titolo La seezza della quasità .
Cosa presenterete da pinksummer goes to rome?
IM: Usciamo ora da un lungo ciclo di incontri e seminari all’ERG di Bruxelles. Stamane Paul Gilroy – teorico inglese, una delle voci più autorevoli degli studi post-coloniali – parlava del concetto di ‘melancholia’; riferendosi in particolare alle grandi guerre e ai suoi studi su ciò che rimane, in termini anche patologici, dopo aver subito alcuni traumi della storia. Parlava di grumi, agglomerati di memoria e del loro modo di agire sulla contemporaneità, tornando a manifestarsi. Non parlava di nostalgia, sia chiaro. Così leggiamo i grumi e le correnti che citate, il vostro attraversamento delle sale di Triennale.
E così ci piace pensare ai due strati di moquette che presentiamo da pinksummer goes to rome. L’intervento che proponiamo è un’opera site-specific: due grandi moquette bianche stampate a un colore, che mostrano due disegni tecnici riferiti all’ultima visita di Haile Selassié in Italia, nel 1970. Il primo mostra l’aeroporto di Ciampino, la posizione dell’aereo privato di Sua Maestà e le posizioni delle cariche di stato. Il secondo la deposizione della corona di alloro al sacello del Milite Ignoto. Due luoghi iconici ed estremamente carichi di grumi, storici e contemporanei. Haile Selassié goes to Rome. E invitiamo il pubblico a passare attraverso questi grumi, calpestandoli con rispetto, percependone le differenze di superficie. L’intervento è pensato anche come un possibile stage, sempre aperto, che ospita le opere di Alis/Filliol.
A/F: Una nostra riflessione sull’aura riguarda la capacità che hanno alcuni oggetti di esercitare un potere attrattivo, quasi ipnotico, come se l’oggetto restituisse lo sguardo.
Per questa mostra abbiamo pensato di creare un dialogo tra lavori che realizziamo separatamente, seguendo delle personali inclinazioni. Il tentativo è quello di esplorare la meccanica dialogica dell’operare in coppia sotto una nuova luce, creando un panorama a due dimensioni che entrerà in dialogo a sua volta con il lavoro di Invernomuto.
Nello spazio ci saranno un rilievo realizzato in poliuretano, un’impronta in negativo di una catena montuosa, realizzata in scala, della Valle di Susa, su cui si affaccia il nostro studio. Una fotografia stampata su carta che ritrae una figura umana sfocata (una scultura in realtà) intenta a scrutare lo spettatore. Due o tre piccole sculture di diversi colori che raffigurano forme semi-umane realizzate in cernit. Ognuna di queste sculture è sostenuta da tre sottili tondini in acciaio, sospese a diverse altezze a partire da circa un metro da terra.
Una scultura infine e alcuni dipinti, una messa in scena di personaggi ripiegati sui loro gesti, isolati in uno spazio di indecidibilità, di sospensione; spiati nel loro proprio personalissimo equilibrio.
Si ringrazia l’ Archivio Storico Grand Hotel Miramare, Santa Margherita Ligure per aver messo a disposizione i documenti originali a Invernomuto.