Amy O’Neill – Dura Mater
Pinksummer: “Dura-mater” è il titolo che hai dato a questa tua seconda personale da pinksummer. La Dura-mater (hard mother/ madre dura) è, con la pia mater e l’aracnoide, una delle tre meningi che proteggono il cervello e il midollo spinale. La Dura-mater, la più esterna delle tre membrane, è una sorta di fodera tenace e elastica di colore cinereo/argenteo che ripara meccanicamente il midollo spinale fino alla base della colonna sacrale, mentre in alto, nella cabina di comando del sistema nervoso, attraverso un prolungamento denominato falce, separa l’emisfero destro da quello sinistro del cervello.
Il nome Dura-mater, rispetto alla più superficiale delle meningi, è riconducibile a Stefano di Antiochia, che nel XII secolo tradusse integralmente, dall’arabo al latino, il capolavoro della medicina islamica del X secolo, del fisiologo e psicologo persiano Haly Abbas, devoto a Allah. L’opera, intitolata “Kitab al-Maliki”, in latino fu trasmutata in “Liber Regalis”, perché dedicata dall’autore all’emiro del tempo (in italiano “Libro completo dell’arte medica”, in inglese “Royal book of the medical art”). Stefano di Antiochia chiamò questa meninge spessa Dura- mater, per la sua funzione connettiva dei tessuti, assimilabile ai legami familiari tipo madre e figlio o figlia.
Il tuo lavoro essenzialmente incentrato sulla memoria ha una funzione connettiva rispetto ai tessuti della grande Storia con quella della storia “minuta”, individuale e familiare. La Storia in questo senso appare come una sorta di linea retta costituita da infiniti punti dipendenti l’uno dall’altro, a loro volta illimitatamente frammentabili. Questa tua sensibilità temporale sembra rimandare al concetto deleuziano, riconducibile al mondo classico pagano e in particolare alla teoria cosmogonica stoica, di aion, diverso per essenza dall’idea meramente quantitativa di Kronos. Mentre Kronos è il tempo della nostra quotidianità, una sorta di intervallo astratto tra passato e futuro, l’aion è una specie di passato/futuro, in cui il presente è un limite infinitesimale e pertanto di impossibilità: il presente nella prospettiva temporale di aion è inafferrabile, si trova o in ciò che è passato o in ciò che deve ancora accadere, il presente è sempre in qualche modo schivato. La Storia appare come un evento unico che differisce in ogni punto che non smette di scindersi e moltiplicarsi, una sorta di strana e un po’ morbosa eternità.
In un testo di Bob Nikas intitolato “Memory and displacement in the work of Amy O’Neill’ si legge “Histories, like values, are handed down from one generation to the next, and we inherit the fears and foibles of our parents and grandparents, as they were handed down to them. History, as we’ve come to see, has a habit of repeting itself.
(Le storie, come i valori, si tramandano da una generazione alla successiva e noi ereditiamo le paure e le fobie dei nostri genitori e dei nostri nonni, come sono state trasmesse a loro. La storia, come si è visto, ha l’abitudine di ripetersi)”.
Ci verrebbe da chiederti cosa ti hanno inoculato i tuoi genitori e i tuoi nonni e forse anche Ronald Reagan, il presidente con il quale sei “cresciuta” (stiamo un po’ scherzando), per trasformare l’attitudine squisitamente ottimista di matrice yankee, che ti appartiene certo, ma come scorza, membrana spessa, per sbucciarla nel modo in cui si sbuccerebbe un frutto maturato fin troppo dentro al canestro in cucina, che all’interno rivela un teatro dell’assenza, della dissoluzione, della distopia, della “rovina al contrario” per entrare nella dimensione di irreversibilità entropica di Robert Smithson. Perché questo titolo?
Amy O’Neill: La combinazione di funzionale e simbolico è un principio operativo fondamentale nell’elaborazione della maggior parte del mio lavoro. Ciò è in parte il risultato delle influenze della zona dove sono cresciuta, la Pensilvania occidentale che ha una ricca tradizione rispetto al mescolare storie apparentemente differenti. Per esempio, la scuola superiore che ha frequentato mio padre ha il volto di John F.Kennedy innestato sulla mascotte, il capo indiano Monacatootha, in omaggio al presidente assassinato. Raccogliere storie della classe media americana e creare un paesaggio dove i ricordi si dispiegano è una forma di sperimentazione che conduco con molto piacere. Un po’ come Victor Frankenstein, il personaggio di Mary Wollstonecraft Shelley, nel suo romanzo “Frankenstein o il Prometheus moderno”. Tra l’altro, ho anche un’affinità con le posizioni della Shelley come fautrice dell’idea Illuminista che la società potrebbe evolvere se i capi politici utilizzassero il loro potere in maniera responsabile; fedele comunque anche all’ideale romantico nel credere che un uso improprio del potere potrebbe devastare l’umanità.
Infine, secondo un’altra definizione funzionale, la Dura-mater è quella che circonda e sostiene i seni durali che trasportano il sangue dal cervello al cuore. Una metafora adatta alle nostre complesse e poetiche posizioni di esseri umani.
P: A proposito di Islam, di Reagan e di Storia intesa come unico evento costituito da migliaia di più o meno piccoli e grandi eventi, collegati tra loro e in grado di frammentarsi all’infinito nelle dimensioni individuali e collettive, siamo in un punto del tempo in cui l’Europa sta maneggiando come può un esodo biblico, dove non manca chi erige confini astratti e concreti di filo spinato, per proteggersi, come se fosse ragionevole, considerando le proporzioni del fenomeno, dietro a un dito. Zygmund Baumann in un recente articolo, ha definito i profughi “walking dystopias”, distopie che camminano risvegliando paure ancestrali. Abbiamo pensato al film del 1978 di Romero “Zombi (L’alba dei Morti, Dawn of the Dead)”, in cui s’immaginavano gli Stati Uniti invasi da morti viventi che trasformavano i vivi in sopravvissuti, mentre la società sprofondava nel caos. Ebbene a proposito di tutto questo ci è venuto in mente l’affare “Iran – Contras Gate”: tra il 1985 e il 1986, all’epoca della guerra Iran/Iraq, alti funzionari militari del governo Reagan (che in seguito godettero dell’amnistia velocissima concessa da George Bush Senior), furono coinvolti in uno scandalo potente. Tramite l’articolo di un giornale libanese, si scoprì che fornivano armi sia all’Iran, prima indirettamente e poi direttamente, che all’Iraq di Saddam Hussein. Con gli ingenti proventi pecuniari della doppia fornitura di armamenti ai due paesi membri dell’Opec, gli Stati Uniti finanziarono azioni di guerriglia e terrorismo in Nicaragua, perché il presidente “cowboy” malvedeva, seppur apparentemente legalmente eletto, il governo sandinista in quanto filocomunista. Nella guerra Iran/Iraq persero la vita un milione e mezzo di esseri umani, in Centro America ci sono stati circa 30.000 morti.
Viene da domandarsi come fa oggi Martin Dempsey, joint Chiefs of Staff, la più alta carica militare negli Stati Uniti, a concludere un’intervista a proposito della massa di profughi che arrivano in Europa, affermando con innocenza a-storica: “Non so dove tutto questo andrà a finire. E quando non riesco a fare previsioni devo preoccuparmi. Stabilità e pace sul continente sono in gioco”.
Abbiamo sempre interpretato il tuo lavoro come una sabbiera “tomba in cui i bambini giocano allegramente” per tirare ancora a mezzo Smithson, in cui i granelli della Storia si mescolano a quelli delle storie, i granelli della cultura “alta” si mescolano al “vernacolare” dell’immensa e profondissima periferia nord americana. Abbiamo sempre interpretato il tuo lavoro come politico e anti/militarista, tutto il tuo percorso, ma stiamo pensando in particolare al tuo rimaneggiamento blasfemo e antipatriottico dei brit-american“Victory Gardens” della Seconda Guerra mondiale. Questa “primavera araba” sfiorita prima ancora di fiorire senza tenere conto nei nessi causali, trasformando in “Walking dystopias” il nostro prossimo, non è un “The Monument of The Passaic”, rovina di ciò che non è ancora, futuri abbandonati, utopie senza fondo?
A.O’N: Queste sono idee ispirate dal tempo geologico contro lo spazio mentale, una incoerenza tra il senza tempo e il temporale. Per esempio nei nuovi disegni, le immagini di francobolli degli anni Quaranta e Sessanta si sovrappongono alle immagini delle storie di guerra di mio nonno e mio padre con un effetto di contrasto simultaneo e straniamento reciproco. Comunque di fatto per me si tratta di raccontare delle storie piuttosto che di pesante realismo psicologico.
P: Nel 1973, in un’intervista fatta due mesi prima di morire con Alison Sky, Robert Smithson disse a proposito dell’entropia: “O.K. we’ll begin with entropy. That’s a subject that’s preoccupied me for some time. On the whole I would say entropy contradicts the usual notion of a mechanistic world view. In other words it’s a condition that’s irreversible, it’s condition that’s moving towards a gradual equilibrium and it’s suggested in many ways. Perhaps a nice succinct definition of entropy would be Humpty Dumpty. Like Humpty Dumpty sat on a wall, Humpty Dumpty had a great fall, all the king’s horses and all the king’s men couldn’t put Humpty Dumpty back together again. There is a tendency to treat closed systems in such a way. One might even say that the current Watergate situation is an example of entropy. You have a closed system which eventually deteriorates and starts to break apart and there’s no way that you can really piece it back together again. Another example might be the shattering of Marcel Duchamp Glass, and his attempt to put all the pieces back together again attempting to overcome entropy. Buckminister Fuller also has a notion of entropy as a kind of devil that he must fight against and recycle. (O.K. cominceremo con l’entropia. E’ un soggetto che per un po’ mi ha preoccupato. In generale direi che l’entropia contraddice l’abituale nozione di una concezione meccanicistica del mondo. In altre parole è una condizione che è irreversibile, è una condizione che muove verso un graduale equilibrio come è suggerito in diversi modi. Forse una bella definizione sintetica dell’entropia potrebbe essere Humpty Dumpty. Come Humpty Dumpty sedeva su un muro, Humpty Dumpty ha fatto una grande caduta, tutti i cavalli e gli uomini del re non potrebbero rimettere insieme Humpty Dumpty. C’è una tendenza a trattare i sistemi chiusi in un modo simile. Si potrebbe anche dire che l’attuale situazione di Watergate è un esempio di entropia. Abbiamo un sistema chiuso che alla fine si deteriora e comincia a andare a pezzi e non c’è modo di poterlo rimettere davvero assieme. Un altro esempio può essere la frantumazione del grande vetro di Marcel Duchamp e il suo suo tentativo di mettere di nuovo insieme i pezzi tentando di vincere l’entropia. Anche Buckminister Fuller ha una nozione di entropia come demone contro cui combattere e reciclare”.
La tua opera ha sussunto questa prospettiva della dissoluzione accelerata e irreversibile in cui il futuro sembra giacere dimenticato e obsoleto nei luoghi non storicizzati senza qualità, che sovvertono ogni principio di causalità e qualsivoglia sequenza cronologica e organizzazione semantica, sono rovine in sé che hanno la struttura processuale di un rito svuotato. Nei nonsites è impossibile contemplare la nozione di forma, come afferrare il presente. Ci parli della tua ossessione per la mise-en-scène: carnevali, zoo, parchi a tema, feste, celebrazioni, parate e dei monumenti temporanei o anti-monumenti che le informano?
A.O’N: Nel 1967, l’artista Adrian Piper scriveva: “Solo ciò che è intuitivo è davvero illimitato”. Vedo tutta l’arte come un processo fondamentalmente intuitivo, indipendentemente da quanto indirettamente se ne trattasse in passato. In accordo con quest’idea, le “ossessioni” o come mi piace pensarle, le intuizioni, sorgono dalla mia precoce esposizione alle “mise-en-scènes” da bambina.
P: Cosa presenterai da pinksummer?
A.O’N: Sulle pareti ci saranno due nuove serie di disegni e stampe basate sulle esperienze di guerra di mio padre e di mio nonno. Tutti eseguiti nel 2015, il primo gruppo, intitolato “Metered Mail”, è una serie di stampe litografiche e di disegni ispirati a un libretto di cartoline illustrate spedito da mio nonno a mia nonna durante l’addestramento ai tempi della seconda guerra mondiale, che è stato conservato da mia nonna per più di 60 anni. Le immagini sono scelte, tagliate e incollate con i francobolli dell’epoca, sulla base dei ricordi che ho dei rapporti con i miei nonni e delle storie che mi sono state raccontate a proposito del coraggio e della resistenza del nonno prigioniero di guerra. Lui personalmente non ha mai parlato della guerra o del tempo passato in un campo di lavoro dopo che fu catturato nel 1944.
Per la serie di immagini “Vietnam or the American War”, ho avuto la fortuna di ricevere da mio padre delle foto che scattò mentre era in Vietnam e in licenza negli Stati Uniti nel 1969 circa. Anche questo gruppo incorpora francobolli pubblicati nello stesso anno in cui le foto sono state scattate, ma la giustapposizione è molto più intuitiva perché ci furono pochi riferimenti al Vietnam o supporto pubblico durante quel “conflitto”. Ho scelto di disegnare la maggior parte delle immagini in entrambe le serie con i segni dei timbri della posta obliterata, perché tutte sono datate 1943 o 1969 e le linee ondulate dei contrassegni postali ben rappresentano le onde della memoria. (eccetto per Telegraph che ha il suo proprio sistema di trasmissione integrato nel disegno).
Sul pavimento ci sarà Deconstructing 13 Stripes e Rectangle #8, una scultura progettata e cucita in riferimento alla geometria della bandiera degli Stati Uniti. Ispirato dall’idea dei Victory Gardens, piantati nelle residenze private e nei parchi pubblici degli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, la scultura è costruita con sacchi di patate (pane della vita) riciclati e riempiti di sabbia.
Infine, installata sospesa al muro sopra i disegni e aggettante nello spazio, c’è una serie di paraspruzzi da camion fatti di gomma di pneumatici riciclata. Questi paraspruzzi, sono stati incisi con il motivo del cretto di fango. Fungendo da surrogati di bandiere, questa serie prosegue la mia ricerca intorno alla descrizione di stati fossilizzati che si librano nel tempo e nello spazio.