Luca Vitone – Wunderkammer

 

Pinksummer: Il titolo della mostra “Wunderkammer”, porta con sé una tradizione di accumulo e un’idea di meraviglia connessa a ciò che è inusuale, incredibile, esorbitante rispetto alla norma. La polvere della tua “Camera delle meraviglie”, raccolta a Palazzo Ducale, qui a Genova, dove ci troviamo, e stesa alle pareti e alla volta del soffitto di pinksummer, sostituisce, alla raccolta di oggetti de-contestualizzati, la selezione di un solo, sottile oggetto ri-contestualizzante, direttamente connesso alla storia e all’identità del luogo. La scelta di ripensare la meraviglia come frutto non della somma ma della sottrazione di elementi, ha la funzione di ribaltare l’horror vacui delle wunderkammer in quello che potrebbe cogliere l’ospite di fronte a questo spazio (semi)vuoto? O, al contrario, si tratta dell’auspicio che chi entra possa meravigliarsi nell’intravedere proprio nel troppo vuoto di materia un pieno di memoria?

Luca Vitone: Il titolo della mostra è un escamotage per parlare di un apparente vuoto che riempie la galleria. Una wunderkammer è una stanza che trabocca di oggetti e le pareti della galleria saranno interamente occupate dalla polvere di Palazzo Ducale, luogo centrale, millenario, che trasuda storia e memoria della città di Genova, dove, forse non a caso, risiede la galleria.
La wunderkammer è una stanza che esprime la maniaca volontà del collezionista, che la riempie di oggetti raccolti per raccontare una storia e la propria esistenza; storicamente un facoltoso aristocratico. In questo caso si ribalta il ruolo sociale del soggetto e la wunderkammer potrebbe essere il risultato eclatante di un illuminato uomo delle pulizie.
Entrando nella galleria si è circondati da uno strato di polvere che ci osserva. Ciò che si evidenzia è ciò che solitamente non si vede. Il pigmento copre tutta la superficie come in una stanza di Giulio Romano.

PS: Nello specifico, proprio la polvere chiama in causa una dimensione infinitesimale della materia, tanto da essere stata considerata fino all’invenzione del microscopio come la soglia del visibile. Il lavoro con la polvere ha comportato, al di là degli spunti provenienti dalla storia dell’arte intrecciati alla tua storia nell’arte, una riflessione sull’invisibilità o piuttosto sulla visibilità e sulle sue condizioni? In altre parole, la polvere ha a che fare con la dimensione del “nulla” o piuttosto con quella liminale del “poco”?

LV: Una stanza che dapprima appare vuota, ma come nel buio di un planetario lentamente dilatiamo la pupilla e, alzando lo sguardo, riconosciamo la volta celeste, qui piano piano ci rendiamo conto di essere circondati da un elemento reale che ci accompagna nel nostro vivere. Questa evidenza riempie lo spazio e ne trasforma l’apparente vuoto.

PS: Henri Lefebvre parla a proposito degli spazi vissuti di spazi della rappresentazione in contrapposizione alla rappresentazione dello spazio. Ogni spazio vissuto implica di necessità la dimensione della temporalità. Hai affermato che il tempo è uno strumento, il mezzo attraverso cui le cose hanno luogo e si fanno luogo. La tua opera in principio ha teso a ridurre il qualitativo al quantitativo, il cognitivo all’ontologico, quasi sentissi la necessità di applicare alla memoria una curiosa forma di topofilia euclidea. E’ possibile che ultimamente tu ti stia un poco de-ontologizzando rispetto a quel tuo autodefinirti realista, courbettiano e socialista, lasciandoti andare a un percorso più induttivo, universalizzante e in qualche modo controintuitivo? Stiamo pensando alle polveri, agli agenti atmosferici, ma soprattutto all’idealizzazione delle grandi sculture olfattive di Venezia e Berlino.

LV: Qui si mette in scena il reale, ciò che c’è e ciò che è.
La polvere è un elemento persistente che occupa lo spazio. Ogni volta che proviamo a eliminarla, poco dopo si deposita nello stesso posto da dove era stata tolta e lentamente si accumula. Diventa in questo modo metafora del tempo e dell’esistenza, la sua consistenza testimonia l’essenza di un luogo e di chi lo abita. Si tratta di un ritratto, un ritratto realista senza mediazioni. Il passaggio da polvere a pigmento non implica alcuna alterazione e l’immagine che ne esce rappresenta pertanto un momento reale, una frazione di tempo che racconta di un luogo e di chi lo agisce.

PS: La polvere, funzionando, come un palinsesto, per stratificazioni successive, si configura come un’unione di passato e presente, aperta a farsi ricettacolo di futuro. Ci sembra perciò suggerire un’idea durativa e quasi olografica, piuttosto che puntuale del tempo, idea che richiede giocoforza qualcuno che attraversi questo tempo e attraverso esso percepisca. Se pensiamo che Husserl affermava che la percezione è l’atto che ci pone sott’occhio qualcosa come se stesso, si può dire che il tuo lavoro stia, in parte, muovendo da una lettura realista del mondo, verso una metodologia più fenomenologica. Le polveri come gli agenti atmosferici, tendono a fermare l’erosione del tempo, riconoscendola e sussumendola. Un ritratto impregnato in profondità dall’idea di tempo, rimanda alla natura morta, alla Vanitas.
Jim Morrison affermava che c’è il reale e c’è l’ignoto e in mezzo ai due una porta che li separa e che lui voleva essere quella porta. Abbiamo pensato che senza raccontarlo anche tu abbia desiderato essere porta. Ci siamo chiesti se, a oggi, questa porta, per te a lungo dischiusa sul reale percepito, non abbia preso a concedersi qualche apertura sull’ignoto. Ma c’è di più, hai chiamato le tue polveri finestre e non porte, dalle porte si passa, dalle finistre si guarda…

LV: Esatto, preferisco pensarmi finestra piuttosto che porta, finestra che osserva il paesaggio, il mondo che ci circonda, e che, se aperta, fa corrente.

PS: A proposito di soglie, hai sempre contrapposto interno ed esterno, ambiente domestico e paesaggio. Fin da Identificazione del luogo hai costruito coppie oppositive e complementari come gli agenti atmosferici e le polveri. Sempre sulla categoria interno/esterno cosa potrebbe essere complementare e opposto alle Chambres?

LV: Non so se arriverà un opposto/complementare delle Chambres. Nel caso dei monocromi m’interessava raccontare il mondo sia privato che pubblico attraverso questo anti-pigmento che è la polvere. Per gli interni ho deciso di usare la carta perché la polvere raccolta e usata come un pigmento è stesa come un acquerello e la carta è il suo supporto d’elezione. In più la carta è più fragile della tela e mi aiuta a ritrarre una situazione privata, che sia il ritratto di un ambiente o di una persona. La tela la uso per gli esterni ed è lasciata all’aperto aspettando che il tempo, sia cronologico che atmosferico imprima il suo passaggio (la sua presenza): il paesaggio percependosi si autoritrae. Per questa pratica la tela è più resistente e gli agenti atmosferici, più “grassi”, come anti-pigmento li paragono alla pittura a olio perfetta per ritrarre un contesto pubblico.