Pinksummer goes to Palermo

Comunicato stampa

“Palermo, in quel momento attraversava uno dei suoi intermittenti periodi di mondanità, i balli infuriavano. Dopo la venuta dei Piemontesi, dopo il fattaccio di Aspromonte, fugati gli spettri di espropria e di violenze, le duecento persone che componevano ‘il mondo’ non si stancavano d’incontrarsi, sempre gli stessi, per congratularsi di esistere ancora”.
A costo di apparire banali, non ci potevamo lasciare sfuggire l’occasione di iniziare il comunicato stampa che annuncia il tempo pop up di pinksummer a Palermo, che si chiamerà per coerenza Pinksummer goes to Palermo, con una citazione dal Gattopardo, uno dei romanzi che più abbiamo amato, e che sentiamo essere appropriata. Non che ci aspettiamo che i vestiti delle signore arrivino da Napoli e nemmeno un viavai isterico di crestaie, pettinatrici e calzolai, ma piuttosto che questa città definita tentatrice e cosmopolita, che viene sempre da immaginare come capitale della Sicilia, prima ancora che capoluogo di una regione italiana – sogno di approdo di tante anime che dal fondo del mare vorrebbero anch’esse continuare a congratularsi di esistere e incubo immaginario o immaginifico degli europei – dia un’impronta diversamente congrua al nomadismo di Manifesta e magari al dialogo tra arte e società.
D’altra parte il neuro scienziato Rodrigo Quian Quiroga sostiene in Borges e la Memoria che nel cervello abbiamo un gruppo di neuroni contenuti nell’ippocampo, che si trova nel lobo della temporalità, che si attivano soltanto di fronte all’immagine di celebrità o di luoghi particolarmente significativi, come può essere la mappa dell’Italia, e aggiungiamo della Sicilia.
Ci è venuta voglia insomma di intrufolarci a Palermo:
1) per scappare ogni tanto dalla “nostra” Genova, che, al momento, se mai di momenti diversi ne fossero esistiti fuori dal meraviglioso periodo barocco di Rubens, Van Dyck e dei loro seguaci autoctoni, non sta certamente annaffiando i semi della svolta iconica visuale contemporanea dal punto di vista politico-amministrativo.
2) Pinksummer goes to Palermo, accade poi grazie all’amico curatore Paolo Falcone, alla sua consorte Olimpia Cavriani, a Anna Maria e Roberta Falcone che ci hanno concesso, dalla primavera all’autunno, lo spazio, o meglio gli spazi, in Via Patania 25/27. Si tratta di un sodalizio collaborativo, quello tra i Falcone e pinksummer che ormai ha qualche trascorso: il supporto che Paolo Falcone, la sua famiglia, la Fondazione Sambuca, con Marco e Rossella Giammona, hanno dato negli anni agli artisti che rappresentiamo per le produzioni delle opere alla Biennale di Venezia. Amicizia che ha fatto sbocciare fiori speciali, da Galaxies Forming Along Filaments, Like Droplets Along the Strands of a Spider’s Web di Tomás Saraceno presentata nel 2009 nella mostra Fare Mondi curata da Daniel Birnbaum; a Mariana Castillo Deball per l’opera El donde estoy va desapareciendo / The where I am is vanishing presentata nella mostra Illuminazioni curata da Beatrice Curiger nel 2011; a Luca Vitone per la scultura olfattiva Per l’Eternità presentata nel Padiglione Italia nella mostra Viceversa, curata nel 2013 da Bartolomeo Pietromarchi; a Michael Beutler per l’opera Shipyard per la mostra Viva Arte Viva curata da Christine Marcel nel 2017.
La piantina dello spazio di Via Patania, un curioso labirinto costituito da 9 piccole stanze, ex magazzini e scagni e l’aria magica di Palermo con il suo strano orologio solare in forma di dodecaedro costruito dal matematico Lorenzo Federici a Villa Giulia, ci hanno arbitrariamente suggerito l’idea di trasformare l’invito della mostra, che avrà come titolo Pictorial Goose Turn in un gioco dell’oca. Di fatto pinksummer goes to Palermo aprirà il 24 maggio, con un’unica mostra che durerà fino a ottobre, un group show con all’interno 4 piccole personali con progetti pensati dagli artisti per quelle apposite piccole stanze. Le personali di Peter Fend dal titolo Costa Verso Costa Koo Jeong A Tengam, Invernomuto Med T-1000 e Sancho Silva (che non ci ha ancora comunicato il titolo, ma ci piacerebbe che fosse XKX, come l’unico misterioso concorrente non casuale del gioco dell’oca degli Stati Uniti in Le testament d’un exentrique di Jules Verne), saranno caselle all’interno di un percorso costruito con opere, molte delle quali mai presentate prima, di Michael Beutler, Mariana Castillo Deball, Plamen Dejanoff, Amy O’Neill, Tobias Putrih, Tomás Saraceno, Bojan Šarčević, Georgina Starr, Luca Trevisani, Cesare Viel, Luca Vitone e Stefania Galegati il cui vicinissimo Caffè Internazionale ( che ormai ha una sua sostanziosa storia in Palermo), rappresenterà una casella dislocata della mostra per la proiezione di Escape Artists di Guy Ben-Ner.
Anche la nostra descrizione verbale della collettiva di galleria comincia a somigliare, per simpatia mimetica, a una sorta di gioco dell’oca, che abbiamo scoperto essere peraltro un gioco di posizione antichissimo, ereditato dall’antico Egitto, ma pare che sia stato inventato a Troia. Si tratta di un percorso dallo spin destrorso, che si dice celi il tragitto iniziatico verso la conoscenza, qualcuno ha scritto che dovrebbe essere la versione popolare dell’opus magnum alchemico che porta l’iniziato dall’oscurità alla luce, alla rinascita. Al centro del nostro gioco dell’oca in forma di invito abbiamo posto il Castagno dei 100 cavalli, uno degli alberi più antichi del mondo, nato in Sicilia tra i 2000 e i 4000 anni fa.
Trattandosi di una mostra collettiva di artisti che lavorano con pinksummer, questo comunicato, in sé, non ha e non deve avere alcun valore esegetico, tanto più che per motivi di spazio e di scelta non siamo neanche avvezze a allestire collettive a Genova. Indipendenza che ci permette di essere, in questo piccolo scritto, assolutamente antiorarie, abbracciando in toto per Pictorial Goose Turn, l’onda retro-causale a tempo negativo. La legge della finalità che arriva dal futuro, piuttosto che quella logica della causalità che arriva dall’onda ritardata del passato. Focalizzando sui potenziali anticipativi che nel bene o nel male le immagini hanno sempre avuto sulla storia che deve ancora accadere. Auspicando assurdamente che le images/pictures potessero avere di nuovo, o di più, un valore propiziatorio simile a quello del rito del serpente cui assistette Aby Warburg tra gli indiani del New Mexico: una sorta di presentazione di strane e complesse soluzioni anticipative mosse da un fine che si trova già nel futuro.
In fondo gli uomini hanno iniziato a rappresentare in forma di magia mimetica, per attivare quelle coincidenze significative con nessi non causali di cui raccontò bene Leibniz e che Jung definì sincronicità. Come se l’arte potesse essere davvero un intreccio di elementi ctoni e di elementi uranici: materialità/causalità e antimateria/finalità, che annichilendosi si trasformassero in un paradigma super-causale per produrre l’energia pulita necessaria al cambiamento verso la complessità, la differenziazione e la vita opposta al livellamento, all’omologazione e alla morte. Il progresso d’altra nasce sempre dalla contro-intuizione e le immages/pictures hanno avuto un ruolo non da poco, più nel bene che nel male, ammesso che esistano come particelle di segno opposto nel mondo. Vorremmo per finire che le opere presentate in questa mostra fossero politiche, come lo sanno essere svariatamente e profondamente gli artisti che rappresentiamo, politici nel senso medesimo di quel paziente di Jung, che in una situazione di crisi sognò uno scarabeo e mentre raccontava a Jung il sogno, uno scarabeo si posò sul vetro della finestra della stanza in cui si trovavano.