Sancho Silva

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“Dove finisce il punto zero dell’eremita che guarda l’orizzonte?” Recita un antico testo ermetico rifacendosi al principio di polarità secondo il quale nel mondo fenomenico non esistono principi assoluti e immutabili, tutto muove, tutto vibra, tutto è duale e ogni verità non è che mezza verità, pertanto tutto è relativo: sopra e sotto, lontano e vicino, dentro e fuori, prima e dopo non sono in sé opposti assoluti, ma due aspetti della medesima sostanza che differiscono solo per grado. Questo, come premessa all’illuminismo di Sancho Silva, di cui siamo felici di presentare la seconda personale da pinksummer. Silva pone in relazione matematica e filosofia, scienza e etica attraverso un processo ritmico anabolico e catabolico in equilibrio su un principio di ragione altamente dinamico che mette in crisi le basi aprioristiche su cui si fonda la percezione: i concetti stessi di spazio e di tempo. Il campo estetico, in questo senso è da intendersi come humus ideale per le sperimentazioni di Silva, sottraendosi a qualsivoglia dogmatismo conoscitivo, morale e di fatto anche estetico. Rispetto alle finalità, l’indagine di Silva sui meccanismi percettivi è un tentativo di condurre alla libertà della coscienza ribellandosi al principio di autorità, fosse anche quella incancrenita dell’abitudine: l’arte di Silva ha un aspetto umoristico-sovversivo squisitamente portoghese, che ci piace davvero molto.
Per assurdo la metodologia di Silva attua sul piano fisico della percezione ciò che Ceal Floyer attua sul doppio eterico del linguaggio: entrambi scompaginano le nostre credenze girando attorno alla boa della ragione. Lessing affermava che se Dio gli desse la possibilità di scegliere tra verità e ricerca, sceglierebbe la seconda, perché solo attraverso la ricerca incessante l’uomo si affina. La ragione non porta ad acquisire una conoscenza definitiva e statica, ma alla consapevolezza della impossibilità di assumere una qualsivoglia prospettiva come assoluta. Gli scivolamenti percettivi, le visioni frammentarie e parcellizzate guidate da Silva ci mostrano come ogni tipo di rapporto tra due termini, soggetto e predicato, sia condizionato dalla posizione che il soggetto occupa nello spazio tridimensionale in quella precisa porzione di tempo. Spazio e tempo per Silva sono due aspetti della medesima sostanza, giacché la percezione avviene sempre all’interno dello spazio tridimensionale e della successione temporale, spazio e tempo sono dunque la “conditio sine qua non” della percezione, ma a differenza di Kant, il “criticismo” di Silva non intende spazio e tempo come intuizioni pure a priori, noumeni basali e causativi posti a fondamento della visione, ma categorie soggette anch’esse al divenire storico.
I paradossi logici di Floyer usando gli oggetti reali come fossero parole, o verificando il linguaggio sovrapponendolo alla realtà ci mostrano come esso sia un sistema di rappresentazione inadeguato e arbitrario rispetto alla concretezza prismatica del mondo e come la comunicazione verbale si presti in questo senso a ogni sorta di sofismo e paralogismo. Alla stessa maniera Silva, sovvertendo le nostre aspettative visive, dimostra come spazio e tempo siano sistemi di rappresentazioni duttili e plasmabili come la creta dentro alle sue trappole percettive. Come il teatro brechtiano, i trompe l’oeil logici di Floyer e quelli percettivi di Silva non cercano l’immedesimazione del pubblico, esigono la distanza: nei loro lavori è il contenuto o meglio la funzione a determinare la forma, ma è la forma a disciplinare la forza e a non permettere che essa venga dispersa, la fruizione di essa pertanto richiede uno spirito vigile, l’imbambolamento estetico della contemplazione non è qui che va ricercato e se arriva deve percorrere comunque il sentiero della ragione spinta, però, dove Apollo e Dionisio si possono tenere per mano sicuri di non essere visti. Floyer e Silva ci tengono ancorati all’esperienza sensoriale non permettendo che alcuna forma di automatismo si organizzi in un giudizio predeterminato dalle esperienze passate, non tollerando che la nostra conoscenza e comprensione della realtà venga direzionata dalle nostre aspettative fondate su forme di bigottismo non illuminato. Tra calcolo e immaginazione le architetture di Silva immagazzinano le polarità di attivo e passivo, positivo e negativo passando fluidamente da una parte all’altra: vedere-essere visti, nascondere-mostrare, guardare fuori-vedere dentro.
Filipa Ramos afferma (Contemporary n 87 novembre 2006) che i lavori di Sancho Silva non si vedono perché essi non sono fatti per essere guardati, ma per guardare. Noi pensiamo invece che le architetture di Silva in sé, dalle più semplici a quelle più complesse siano oggetti di grande impatto estetico.
Da pinksummer Silva presenterà uno studio sulla città del Cairo. Il materiale crudo è costituita da tre percorsi trasversali che Silva ha documentato con una serie di fotografie scattate camminando dal centro alla periferia della metropoli attraversando i quartieri ricchi e organizzati della city, alle zone borghesi residenziali fino alle terre di nessuno dove baracche e case abusive si alternano al vuoto residuale, quelle zone off-limit che non sono mai comprese nelle mappe ufficiali. Questi percorsi sono restituiti in galleria da un oggetto in legno “Trident” dal cui centro partono tre piramidi tronche all’estremità delle quali tre monitor mostrano le sequenze di immagini dal centro alla periferia, dalla cultura e dalle sue scorie fino alla natura. Un percorso termina nel deserto, gli altri due nei campi.
Il secondo lavoro “Satellite” è una macchina costituita da due piramide tronche coricate orizzontalmente su un lato, mentre le basi sono poste all’esterno, le due estremità sono collegate al centro, creando un restringimento che parcellizza la visione dell’immagine satellitare del Cairo posta su una base, mentre chi guarda si trova da quella opposta.
In occasione della seconda personale di Sancho Silva, verrà presentato anche un progetto permanente realizzato dall’artista nello spazio esterno della sede di Parfiri realizzata dai 5+1AA. L’installazione “Involtino” è costituita da una costruzione in legno al cui interno il visitatore potrà godere del panorama capovolto, restituito dal giudizio riflettente e ingannevole di un sistema di specchi.