Sancho Silva – Primordial Soup

 

Comunicato stampa in forma di intervista

Pinksummer: Caro Sancho, è bello pensare che da pinksummer ci sarà una tua nuova mostra. Siamo state felici lo scorso anno, quando finalmente, da non ricordiamo quale posto del mondo in cui stavi vivendo, ci hai scritto che avremmo dovuto riprendere un po’ in mano la tua carriera di artista. Avremmo già voluto prenderla in mano prima. Sei così prudente, nel senso originale della phron greca, che rimanda non all’agire, ma al pensiero, alla scelta etica che ricade sul fare. Ci hai fatto ridere, quando hai scritto che segui i cicli dell’agricoltura e che le tue idee devono essere irrigate tanto. Non sei un albero piantumato per certo, credi nel futuro e nella comunità delle foreste naturali, nel do ut des della polis. Nel regno vegetale saresti forse un grande faggio cooperativo.
Rispetto all’arte, ti sei preso certo tempi più arborei che agricoli.
Cos’hai fatto in questo tempo?

Sancho Silva: Care Anto e Francesca. Grazie per le vostre domande e scusate di aver impiegato tanto tempo per rispondervi. Credo che siate nel giusto quando affermate che sono più arboreo che agricolo, anche se in ciò non vedo opposizione. Il segreto è quello di sistemare in tempo l’agricoltura in luoghi nascosti dall’ombra di un vecchio albero. Gungsun Long (o era Huan Duan?) una volta disse che l’ombra dell’uccello in volo non si muove mai. Sento che mi è accaduto il contrario. Sto ancora fermo mentre la mia ombra si sta muovendo velocemente.
Ma sto facendo digressioni (come sempre). Mi avvicino di più al punto. Grazie per avermi invitato a fare un’altra mostra nella vostra galleria. Apprezzo la vostra pazienza. Forse anche voi siete un po’ arboree come me. Per “arte” si potrebbe intendere un calamaro vischioso che continua a esserci, ma non è mai nel posto in cui è stato lasciato l’ultima volta. C’è sempre bisogno di ricominciare da capo. Tornare a gettare tutti i frammenti nel vortice. Ma va bene considerando che come buon cittadino della polis, amo riciclare. E ho una bacchetta magica o, per usare un termine inglese, un frullatore elettrico a immersione.

ps: Vedemmo il tuo lavoro per la prima volta alla Manifesta di Francoforte, era il 2002, era elegante e molto, molto politico: quell’essere dentro alla tua installazione e fuori dal museo e viceversa, dentro al museo e fuori dalla tua opera Gazebo. Quando ti conoscemmo, con quella tua aria da matematico puro, pensammo che fossi un techie, ma abbiamo capito presto che eri più fuzzy di qualsiasi fuzzy possibile. A proposito, è uscito un libro di Scott Hartley dal titolo The Fuzzy and the Techie: Why the Liberal Art Will Rule the Digital World. All’Università di Stanford, in cui ha studiato l’autore del libro, i fuzzy sono gli studenti di materie umanistiche, considerati i più sfigati; i techie sono gli studenti di matematica, fisica, informatica: gli eroi del futuro. Tuttavia il venture capitalist Hartley che ha lavorato anche per Google e per Facebook, sostiene che nell’età della second machine, le competenze umanistiche avranno un ruolo fondamentale, soprattutto quello di mantenere alta la creatività intesa come critical thinking. Fatti come quelli attuali di Facebook e di Cambridge Analytica, se fossero impattati sul terreno dell’atleticità ermeneutica preparata dalle humanities, avrebbero lasciato il tempo che hanno trovato, come recita un antico proverbio genovese, che significa che non avrebbero mosso una foglia, altro che favorito l’elezione di un presidente degli Stati Uniti o il voto pro Brexit nel Regno Unito.
Credi che lo “stay hungry e lo stay foolish” predicato da Steve Jobs, sia un bagaglio utile per la vita?

SS: Sinceramente non ho capito molto bene la vostra domanda. Così tenterò di costruire una risposta matta, restando fedele all’immagine che avete di me. Mi piace il detto “lascia il tempo che trova”. Sembra echeggiare il vecchio Huan Duan (o era Hui Shi?) che diceva “Le ruote non toccano mai il suolo”. Ascolto gli slogan dei capitalisti di ventura con lo stesso entusiasmo con cui ascolto gli slogan dei cristiani evangelici durante gli show televisivi in seconda serata. Credo, con Leibniz, che ogni singola entità esprima l’intero universo. Ma, alla stessa maniera si può dedurre che ogni singolo slogan esprima l’intero universo? Penso di si. Alcuni slogan, comunque, sembrano esprimere l’universo in modo così confuso che all’interprete è affidato tutto il lavoro ermeneutico: un infinito, ma piacevole compito. Ora possiamo affrontare lo slogan di Jobs: “Stay hungry stay foolish”. Il cinico direbbe che Steve Jobs voleva semplicemente che la gente restasse affamata e matta, in modo da venderci molte più delle sue mele zuccherose. I futurologi direbbero che ha avuto una premonizione di come la vita sarà nella baraccopoli del futuro. I Mariologi direbbero che Jobs si riferisce esotericamente al Job del libro di Giobbe, che aveva settemila pecore, tremila cammelli e cinquecento gioghi per buoi, e cinquecento asine, e una grande famiglia e una volta disse: “venni nudo dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò”. Huan Duan (o era Hui Shi?) d’altra parte, direbbe sinteticamente: “Un cane non può essere considerato una pecora”.

ps:Tornando alla tua quarta mostra da pinksummer, l’hai titolata Primordial Soup. Recentemente è stato scoperto che la zuppa indistinta da cui è germinata la vita , non fosse costituita solo dalla semplicità e dall’abbondanza di RNA, perché l’RNA manca di “riflessività”; pare ci fosse un altro ingrediente, una sorta di addensante, un dado da brodo di matrice proteica: i peptidi, in grado di dare avvio a quel replicarsi stracolmo di alternative ibridatorie, che è la vita sul pianeta Terra. Il tuo lavoro ha sempre cercato alternative: ridisegnando lo spazio, perturbando e sovvertendo la visione, cercando l’orizzonte o meglio un orizzonte al di là delle barriere architettoniche e socio-economiche. Hai giocato antiche dualità di matrice metafisica, tirando in mezzo effigie e simulacri. Hai montato, smontato, costruito e manipolato, per stimolare alternative.
Certamente i danni ambientali sono sempre stati giustificati dalla mancanza di alternativa. Perché hai chiamato questa mostra da pinksummer Primordial Soup? Cos’è questa minestra il cui profumo sa di matriarcale?

SS: Negli ultimi tre anni – e ora risponderò alla prima domanda – mi sono dedicato a un appezzamento di terra intorno alla casa in cui vivo. Non so esattamente come descrivere questa pratica. Agricoltura dadaista? Agricoltura filosofica? Agro-arte? Nessuna di queste forse, si tratta piuttosto di qualcosa che ha a che fare con il collezionare ogni sorta di seme, occasionalmente zappare la terra, diserbare, irrigare; ciò implica anche molta osservazione e ricerca. E’ stata più una deriva che un progetto con uno scopo specifico e predeterminato.
Come in una sorta di mutazione è accaduto che si sono manifestati un mucchio di cavoli, zucche, rape dallo strano aspetto e un sacco di altre creature che gironzolano intorno alla casa, chiedendo di essere “trasformate”. Ora poiché mi trovo ad avere una bacchetta magica (e due bambini da usare come cavie), sono arrivato a produrre una serie di gigantesche pignatte di un impasto verde-marrone – una zuppa primordiale – con cui ho provato a nutrire i bambini senza successo. Ma non ho perso la speranza. Probabilmente è tutta una questione di presentazione e la zuppa avrà più successo se servita in una galleria. Per citare Hui Shi ( o era Gongsun Long?), i compassi non possono fare cerchi.

ps: Anni fa, a casa tua, a Lisbona, ci mostrasti la tua collezione di semi. Scoprimmo, quella sera, nella tua cucina, che sei un seed saver e forse un inventore di ibridi estetici. I semi non sono una piccola cosa, come recita uno slogan.
Gli agricoltori, nel mondo, ogni tanto si ribellano alle multinazionali sementiere, che creano dipendenza da semi ibridi, da piante OGM, da fertilizzanti e pesticidi, che inquinano e fanno fuori insetti fondamentali per l’impollinazione, quali api e farfalle. La stampa tende a liquidare con piccoli trafiletti le proteste, come se si trattasse di tafferugli da ortolani.
Un tempo, la conservazione delle sementi era parte della tradizione agricola, finalizzata al mantenimento di fattorie e giardini. Oggi, i semi devono essere acquistati e producono dichiaratamente piante ibride. I seed saver sono cercatori di vecchie varietà o di agro biodiversità, non soggette a erosione genetica, che riproducono e scambiano affinché non si estinguano per sempre, insieme al sapere millenario e ai paesaggi che li hanno generati.
L’attivista indiana Vandana Shiva, tra i principali leader dell’International Forum of Globalization, sostiene che gli OGM utilizzati durante la Rivoluzione Verde indiana, forniti dagli Stati Uniti, fossero principalmente uno strumento per allontanare l’India da possibili influenze sovietiche. Comunque le monocolture a alto rendimento si sono rivelate insostenibili, un po’ come il nucleare.
Vandana Shiva, nel libro Monocolture della mente, sostiene che bisogna difendersi dalle monocolture globali, perché la biodiversità è l’involucro della cultura.
In che rapporti sono diversità culturale e diversità biologica? La diversità è innanzi tutto un sistema di pensiero? Rende più autonomi?

SS: Ho sentito che hanno inserito cromosomi di pesce nei vegetali per renderli più resistenti. Potrebbe essere eccitante se fosse fatto da un buon chef (anche se personalmente non sono un fan della salsa di pesce). Sono scettico tuttavia rispetto alla competenza culinaria delle multinazionali. La loro strategia comporta semplicemente l’aggiunta di zucchero in qualsiasi cosa. Ma la gente può essere convinta, con un piccolo sforzo, a mangiare ogni genere di sostanza. Ancora una volta è solo un problema di presentazione. E queste compagnie hanno tante bacchette magiche! L’umanità è stata lentamente trascinata a desiderare, e godere cibandosi delle cose più strane. Mi pare tuttavia che sia una sorta di eccesso di matrice industriale. Probabilmente nel futuro verrà creata una nuova razza di umani che respirerà monossido di carbonio e banchetterà con rifiuti radioattivi. Dovranno indossare abiti protettivi per visitare le foreste sopravvissute per non essere sovraesposti all’ossigeno, che in quel tempo, sarà altamente tossico per gli umani. Quella che adesso chiamiamo borghesia sarà svanita e la società, sarà costituita da miriadi di clan governati da gangster e sacerdoti di culto nella bidonville universale. E’ sufficiente visitare luoghi come Lagos in Nigeria e le favelas del Brasile per intravedere il nostro futuro glorioso. L’Europa e un pugno di altri paesi finora sono stati solo capaci di esportare oltremare la violenza che producono, la faglia è stata posta nel Mediterraneo. Il Brasile (e la Nigeria) per esempio non sono state così fortunate, qui la faglia inizia uno zig zag attraverso il territorio, creando le condizioni per una guerra civile perpetua e non dichiarata. Ho letto che negli ultimi sei anni sono state assassinate più persone in Brasile (280mila) che nella guerra in Siria (260mila). Suppongo quindi che stiamo avviandoci verso quello che Empedocle ha chiamato “la legge della discordia” o quello che Jobs avrebbe chiamato la regola dello “ stare affamato e folle”. Ma dobbiamo essere ottimisti! Se ci proiettiamo in avanti di una dozzina di migliaia di anni, tutta l’umanità vivrà in modo analogo, a quello in cui vivono ora certe tribù isolate dell’ Amazzonia. Le foreste saranno ricresciute sull’intero pianeta, coprendo le rovine di un’antica civiltà. Gli esseri umani saranno più intelligenti e più avanzati. Più sottili. Non avranno auto, nessuna industria, nessuno lavorerà e saranno capaci di nuovo di guardare le stelle e di meravigliarsi.
Saranno poi capaci di esclamare, con Hui Shi: “ Lascia che l’amore abbracci le 10mila cose; Il Cielo e la Terra saranno una sola cosa”.

ps: L’eco-femminismo sostiene che la cultura antropocentrica e androgenica abbia un’interpretazione dicotomica del reale, che definisce i concetti solo per opposizione o per negazione, producendo in questo modo sfruttamento, desolazione e forsennata corsa al profitto.
Alcune eco-femministe cercano un terreno comune tra ambientalismo, animalismo e femminismo. Il power-over-power del modello patriarcale rimanda al sessismo, al dominio della natura, al razzismo e allo specismo. Le diseguaglianze potrebbero nascere dall’assioma che x sia x non in relazione, ma solo in opposizione o negazione di y?

SS: Penso che il problema non sia tanto con la dicotomia in sé, ma con una certa fissazione rispetto a una serie di immagini o forme di pensiero. Tendiamo a intrappolarci in abitudini mentali e fisiche che assimiliamo fin troppo facilmente, per mancanza di forza e discernimento. Il nostro ambiente, sia fisico che fisiologico, costantemente modella ciò che siamo. Come la gravità, il vento e la luce, modellano la forma di un albero, noi siamo informati dalle nostre città, dagli impegni, dai linguaggi e da altri fardelli. Per millenni abbiamo allevato forme di pensiero e gesti fisici strutturati intorno a una netta divisione tra uomo e donna e da altre divisioni manichee (adulto/bambino, nativo/straniero, aristocratico/plebeo, umano/animale, vivo/inerte, ecc, ecc).
Tuttavia queste dicotomie non sono altro che rovine, tracce disfunzionali di antiche vite, scheletri e fantasmi che ancora si ammassano intorno e dentro di noi. Come possiamo fuggire da queste rovine? Come possiamo raggiungere i semi o gli elementi germinativi che possano riscattare il passato da se stesso, che liberino il possibile dalle sue macerie? La chiave qui è, penso, essere capaci di conoscere senza soccombere alle macerie.
E’ una linea sottile e alla fine è una questione di equilibrio. Se siamo fortunati e sufficientemente creativi possiamo imprimere al mondo una piccola rotazione, una sorta di Clinamen, che farà la differenza. Per tornare a Huan Duan possiamo dire: “I cavalli depongono uova”.

ps: Il padre della Rivoluzione Verde, Norman Borlaug, premio Nobel nel 1970, affermò: “Se nel 1999 avessimo avuto le rese di cereali del 1961 (1531 kg per ettaro), avremmo avuto bisogno di quasi 850 milioni di ettari in più, è ovvio che quella terra non era disponibile e certamente non lo era nella popolosa Asia. Oltre a tutto anche se fosse stata disponibile, pensate all’erosione del suolo e alla perdita di foreste, prateria e fauna selvatica, che avremmo causato se avessimo cercato di produrre quelle quantità di cereali con la vecchia tecnologia a bassa resa.
La Rivoluzione Verde ha raggiunto un successo temporaneo nella guerra dell’uomo contro la fame e le privazioni: ha dato all’uomo un po’ di respiro. Se pienamente implementata la rivoluzione può fornire cibo a sufficienza per sostenerci nei prossimi trent’anni. Ma la potenza terrificante della riproduzione umana deve essere piegata, altrimenti i successi della rivoluzione verde saranno effimeri”.
Di fronte a un problema acuto l’omeopatia è rischiosa, di fronte a una broncopolmonite bisogna prescrivere l’antibiotico, non i granuli di centella asiatica. La Rivoluzione Verde con le monocolture a alta resa è stata un antibiotico, che non ha eliminato la malattia, l’ha tamponata, creando nel contempo l’infragilimento immunologico. Tuttavia è stata una soluzione alla fame. Perché in Occidente i governi sono spaventati dalla decrescita demografica? La scolarizzazione delle donne a ogni latitudine geografica e in ogni tempo ha come effetto un calo immediato della natalità. Ciò non risolverebbe buona parte dei problemi ecologici del mondo?

SS: La scolarizzazione è una buona cosa credo, se è una buona scolarizzazione. Torniamo ancora sul problema delle rovine, questa volta le rovine di un sistema educativo che per millenni ha avuto la missione di formare “materia inerte” (i bambini “selvaggi”, ma anche gli insegnanti e gli stessi educatori), in componenti pienamente funzionali dell’organismo sociale. Quali semi si possono recuperare da queste rovine? Credo che l’idea di scuola come luogo di scambio, trasformazione, sperimentazione e creatività, sia uno di questi semi. Per un po’ ci è sembrato che quest’ultima tipologia di scuola stesse non solo spuntando, ma diventando anche più diffusa. Adesso sembra che stia accadendo il contrario. I fondi sono stati tagliati e stiamo scivolando in un’era in cui la scuola (e l’università), sono viste soltanto come uno strumento per produrre umanoidi, come fossero componenti tecnici da inserire nel sempre crescente ciclo industriale. Finché non cambieremo radicalmente il nostro ambiente intellettuale non avremo possibilità di comprendere, ancora meno di nutrire, il nostro ambiente fisico e demografico.

ps: Ci hai consigliato il libro di Emanuele Coccia La Vie des Plantes : Une Métaphysique du Mélange, non ci è stato ancora consegnato, ma nell’ordinarlo su Amazon abbiamo letto “Appena le nominiamo il loro nome sfugge. La filosofia le ha sempre trascurate; anche la biologia le considera come una semplice decorazione dell’albero della vita. E tuttavia le piante donano vita alla terra: fabbricano l’atmosfera che ci avvolge, sono all’origine del soffio che ci anima. I vegetali incarnano il legame più stretto e elementare che la vita possa stabilire con il mondo. Sotto al sole e alle nuvole, fondendosi all’acqua e al vento, la loro esistenza è un’interminabile contemplazione cosmica. Questo libro parte dal loro punto di vista – quello delle foglie, delle radici e dei fiori – per capire il mondo non più come una collezione di oggetti, o uno spazio universale contenente tutte le cose, ma piuttosto come atmosfera generale, un clima, un luogo di vera mescolanza metafisica”
Cosa presenterai da pinksummer?
SS: Ho portato con me una serie di esseri o frammenti di esseri. Rovine, semi e le loro ombre. Qualcosa come tra i 10 e i 10mila di questi ingredienti, saranno usati come attori in una sorta di dramma culinario. Saranno gettati in un vortice dove si combineranno in collisioni aleatorie, componendo una zuppa audio visiva. Questa zuppa sarà servita su uno schermo o una membrana che funzionerà come una sorta di ghiandola pre-digestiva. Bon appétit!