Slampadato – Bojan Šarčević

Comunicato stampa

Un corpo che transita nello spazio è un gesto che trasforma lo spazio in luogo, un luogo ha sempre un carico di significati simbolici che implica la progettazione del vivere. Un luogo è in questo senso uno spazio percepito dal corpo attraverso il suo apparato sensoriale, occhi, orecchie, naso, epidermide… L’idea di luogo include in qualche modo il concetto di “limen”, varco, soglia, orifizio. Seppure il mondo orientato dalla tattilità sia connesso a quello orientato dalla vista attraverso l’astrazione del ricordo delle esperienze passate, sembra che il mondo della tattilità sia più confortevole, mantenendo il corpo in stretta aderenza con il luogo che abita, in cui si comporta, che sia un intérieur delimitato dal soffitto, o uno spazio atmosferico con sopra il cielo. In “La dimensione nascosta” Edward Hall cita l’antropologo Benjamin Lee Whorf che in “The Language, Thoughts and Reality” afferma che nella lingua hopi, quella degli indiani che vivono nelle pianure desertiche a nord dell’Arizona, la parola tempo non esiste, perché il tempo è collegato in modo inestricabile al concetto di spazio e per gli Hopi lo spazio è qualcosa di profondamente reale. Gli Hopi non sanno immaginare, né tantomeno descrivere nella loro lingua luoghi come il paradiso o l’inferno. Seppure questo popolo costruisca robuste case di pietra, il loro linguaggio non ha parole per nominare, come fossero cose, spazi tridimensionali tipo il corridoio o l’entrata di una casa, che sono espressi in hopi come localizzazioni.
Bojan Šarčević da sempre afferma che la magia di un’opera d’arte transiti sulla zona liminare della sua indescrivibilità. Ogni sua opera sembra rimandare a esperienze corporee e relazionali accarezzate da un approccio formale sensuale e raffinato, centripeto e purissimo rapito dalla texture e dall’immaginario tattile e visivo che l’idea di texture libera. Il suo lavoro tende a creare talvolta una sorta di frustrazione sensoriale che può essere provocata in senso a-narrativo dall’allusione scultorea a un dispositivo di arredo, come dall’accostamento di materiali freddi e sconfortevoli a altri soffici e sensuali. Negli ambienti progettati per le mostre “In the Rear View Mirror”, “Invagination” fino all’attuale “Slampadato”, Šarčević riconosce esclusivamente l’orizzonte percettivo cinestesico, annunciato fin dall’onomatopeismo linguistico di matrice fisica dei titoli delle ultime due mostre, e radicalizzato in questa mostra a pinksummer goes to rome, dalla volontà di sopprimere qualsivoglia intermediazione che sia un’immagine sull’invito o peggio il comunicato stampa. Come se un mondo espressivo estraneo e prefabbricato potesse impedire la percezione profonda dell’opera e la magia sensuale e intima della sua dimensione nascosta.
Questa lunga premessa, per dire che il comunicato stampa, per quel che vale, esiste solo perché pinksummer è un po’ come gli aborigeni australiani descritti da Bruce Chatwin in “Le Vie dei Canti”, che immaginano che le cose vengano tratte all’esistenza dal canto, noi non sapendo cantare scriviamo.
Si potrebbe affermare ancora che “Slampadato” di Bojan Šarčević rimanda, forse per coincidenza, a un’esposizione surrealista curata da Marcel Duchamp alla galleria Lelong di Parigi nel 1947, in cui installò a soffitto un sistema idrico che faceva cadere l’acqua sul pavimento di legno bagnando le sculture di Maria Martens, che era al tempo la sua amante. E infine che a noi “Slampadato” ci ha fatto pensare a “Le bain Turc” dipinto da Jean-Auguste-Dominique Ingres quando aveva 83 anni, o meglio alla descrizione del bagno turco che ispirò l’artista, fatta da Lady Mary Wortley Montagu , ambasciatore inglese della Turchia Ottocentesca: “Credo che in tutto fossero 200 donne… I primi sofà erano coperti con cuscini e ricchi tappeti, sui quali sedevano le donne… Tutte come natura le ha fatte, vale a dire, detto chiaramente, completamente nude, senza bellezze o difetti nascosti, eppure non c’era il minimo sorriso scostumato o gesto immodesto tra di loro…”