Tomas Saraceno – Cloud Cities

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Tomas Saraceno ci fu presentato da Luca Cerizza, era il 2004. La prima volta che lo incontrammo fu in occasione dell’attualizzazione di “On-Air” nel vecchio, assurdo salone da ballo tardo cinquecentesco di Pinksummer, in Via Lomellini. Tagliò corto rispetto ai convenevoli di saluto, chinandosi subito a rovistare dentro a una borsa piena di cose, da cui estrasse, per primo, un contenitore, nel quale ci invitò a infilare la mano. La sostanza all’interno, al tatto, poteva essere qualcosa di estremamente soffice o anche di polveroso. Non lasciò alcuna traccia sulla pelle. Saraceno ci chiese di mettere la mano sotto al rubinetto, l’acqua scivolò sulla pelle accumulando sul palmo della mano perle trasparenti, curiosamente precise e ipercinetiche, come le sfere di mercurio quando i termometri cascano frantumandosi. Quella materia tanto sottile e leggera da incapsulare l’acqua era aerogel, Saraceno ci spiegò che si trattava di una sostanza costituita da polvere di silicio, per niente nuova, era stata brevettata da uno scienziato nel 1931, e concluse che con essa avrebbe costruito Airport-City. Ci balenò che Tomas Saraceno fosse un architetto vero, un architetto italo-argentino che aveva scelto come base Francoforte dopo la laurea in Architettura conseguita a Buenos Aires e la Stadtschule, infine lo IUAV a Venezia; di fatto a tutt’oggi non si è ancora trasferito a Berlino come avrebbe fatto un artista vero.
Le sue laconiche spiegazioni ci fecero assimilare Airport-City a ciò che Heidegger aveva definito Raum: uno spazio sgomberato atto ad accogliere un insediamento di coloni, delimitato, per accidente, da un luogo piuttosto che da un altro. Da lì a pochi giorni Pinksummer sarebbe stata il luogo da cui “On-Air”, la prima megastruttura realizzata da Tomas Saraceno, avrebbe tratto l’essenza e il limite, dove per limite s’intende anche il punto in cui le cose hanno origine.
L’abitudine di Saraceno è quella di pensare spostandoli i limiti, non solo quelli poietici, ma anche pragmatici, ci riferiamo all’idea di budget, ciò trasformò “On-Air”, come in generale tutti i successivi grandi progetti di Tomas Saraceno, in un’avventura matta e bellissima, un gioco, una festa in cui l’artista riesce a coinvolgere chi gli sta attorno, allora una banda di disperati tra cui noi e Cerizza, a lavorare giorno e notte. I ragazzi che lavorano nello Studio a Francoforte, nato qualche anno dopo, conoscono fin troppo bene questo aspetto sperimentale, partecipativo, che comunica nel contempo angoscia e eccitazione, del discorso di Saraceno, tendente a rimanere “per via” fino all’istante prima dell’inaugurazione; dietro, a rassicurare, c’è la sua progettazione (ma rispetto a “On-Air”, essendo la prima volta, tale precisione ci era dato solo d’intuirla).
Da allora sono passati sei anni, ma circa il percorso di Tomas Saraceno sembra passata assai più acqua sotto ai ponti, c’è stata una seconda personale da Pinksummer nel 2007, e tante, tante mostre istituzionali di grandissima importanza, tra cui la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2009, su cui è stato versato un lago di inchiostro.
Rispetto all’idea heideggeriana di Raum, lo sgombero nella pratica di Tomas Saraceno riguarda proprio l’esattezza dell’architettura, le sue verità, non solo riguardo al gotico e al georgiano di cui si voleva sbarazzare il Buckminster Fuller poeta. Tomas Saraceno in qualche modo ha tradito l’architettura con un atto etico-teoretico di paradossale fedeltà, recuperandone il nucleo più eccessivo e radicale per seminarlo altrove, in un terreno già concimato dall’eccedenza. Si potrebbe arrivare a dire che l’arte di Saraceno è più architettura dell’architettura stessa, sia in rapporto allo spazio che alla fenomenologia temporale. In Saraceno i tre momenti del tempo: futuro, presente, passato, rimangono aperti ognuno alle possibilità dell’altro. La temporalità di Saraceno è estatica, circolare: muovendo dal futuro (le nuove possibilità aperte dalla scienza e dalla tecnica, i suoi progetti), Saraceno arriva al presente, dischiudendo i potenziali repressi che il passato non è riuscito a realizzare. In questo senso per Saraceno l’avvenire è contenuto nel passato, per questa ragione di “On-Air” non si è mai fatto scrupolo di dichiarare che è squisitamente Ant Farm.
Saraceno è un grande ammiratore di Yona Friedman: per lui l’imprecisione, non l’esattezza, è sinonimo di verità nel suo significato etimologico più autentico di disvelamento, ricerca, un discorso che Saraceno radicalizza fino a non tollerare di vederlo concludere, fosse anche dentro a una infrastruttura.
Dal retaggio passato, partendo forse da Boullé passando sicuramente da Fuller e poi Archigram, Superstudio, Metabolist, Cedric Price, Yona Friedman, ha ereditato la fede nella scienza e nella tecnica, non intesa come tecnocrazia imperialista finalizzata a se stessa e all’idea di supremazia che ha reso la natura un mero oggetto di dominio e di sfruttamento, bensì un “positivismo” che avvicina l’uomo all’esperienza sensibile e fa dell’esserci una comunione.
Quando Tomas Saraceno lavora alle sue sperimentazioni estreme nella natura più remota è felice, accumula energia e la trasmette, tanta. Poco tempo fa rispondendo al suo disappunto per il traffico urbano, gli consigliammo una motocicletta, lui rispose svelto che andare in motocicletta è pericoloso. Annuimmo ragionando però tra noi e noi, dove quel Peter Pan avesse nascosta tutta quella prudenza adulta e responsabile, mentre senza alcuna protezione rideva felice e abbronzato come un campeggiatore hippy dei Settanta, accovacciato dentro a una tenda sospesa a metri e metri di altezza su un lago argentino, sostenuta esclusivamente dal vento e dai suoi palloni, nel video “Sky Elevator”.
Heidegger, ancora lui, affermava che l’opera d’arte non è la riproduzione poetica della realtà esistente e tantomeno la rappresentazione della sua essenza. Il tempio greco non riproduce niente, si erge semplicemente nella natura per raccogliere la vita intesa come tensione tra la nascita e la morte, rispecchiando l’uomo e il suo destino di finitudine e, nel contempo trascendendolo per spingersi fino alla sorgente: il limite dell’inizio dove per logica, come raccontò Anassimandro, tutte le cose devono di necessità ritornare (più che una speranza, un pensiero positivo).
Di questo comunicato stampa Saraceno si lamenterà: “Troppo nostalgico, troppo Heidegger e Cloud City e le mie ragnatele?”. Di Cloud City e delle ragnatele riverberanti la formazione delle galassie nei tempi, racconterà con più efficacia delle parole, Tomas Saraceno stesso anche in questa terza personale da Pinksummer.