Mark Dion – By the Sea

 

 

COMUNICATO STAMPA

MARK DION – By the Sea

Pinksummer goes to Palazzo Pallavicino Cambiaso – Via Garibaldi 1, Genova

03.06.2021 – 25.09.2021

Opening: 03.06.2021 – h 16.30 – 21.30

Pinksummer: Essendo che il linguaggio produce senso e genera significato, credi che abolendo la parola razza, soprattutto dal vocabolario delle costituzioni su cui vengono improntate le leggi degli stati e delle nazioni, ciò potrebbe scoraggiare gli atteggiamenti discriminatori tipici del razzismo?
Seppure da Ippocrate al XVIII la parola razza sia stata più o meno usata in modo interscambiabile con il termine specie, adesso sappiamo che a differenza della specie, la razza non è una categoria tassonomica, ma un costrutto sociale biologicamente sfocato basato su un raggruppamento fenotipico privo di significato zoologico, a prescindere dalla specie di riferimento, che sia quella umana (Homo sapiens) o di qualsivoglia altra specie appartenente al regno animale. Nominare non è in sé la prima forma di classificazione e in questo senso non implica la possibilità di pensare esclusivamente il proprio pensiero? In che rapporto stanno le parole e le cose nella tua opera?

Mark Dion: Domanda interessante. Non sono un esperto di storia costituzionale o del concetto di razza, tuttavia ho imparato almeno un po’ da studiosi della storia della scienza e dell’evoluzione come Stephan Jay Gould (in particolare in Intelligenza e pregiudizio: contro i fondamenti scientifici del razzismo), Cary Wolfe e Donna Haraway, circa la storia cupa del “razzismo scientifico”.
Per quanto so, il termine razza è usato nel linguaggio costituzionale in modo da proteggere i diritti di tutti, indipendentemente dalla razza. Si tende a usarlo per rimarcare coloro che hanno sofferto storicamente della discriminazione, così come accade per il termine sesso o orientamento sessuale.
Forse dovrebbe / potrebbe essere eliminato, giacché la protezione dei diritti di tutte le persone, potrebbe in realtà significare veramente tutti.
Come dici, razza non è realmente un termine biologico ma di natura culturale, che ha una lunga storia di malizia, dalla dominazione e discriminazione, allo sterminio totale. Fino alla prima metà del secolo scorso c’era un feroce tentativo di qualificare la razza come qualcosa di simile alla specie. La teoria della razza si è mimetizzata come una forma di biologia evoluzionistica. Ho una grande collezione di libri di biologia dell’inizio del XX secolo che si sforzano di inquadrare la razza come se si trattasse di questioni biologiche di specie separate nel modo più spaventoso e fraudolento. Penso che la maggior parte del mio lavoro sia un tentativo di guardare la storia della scienza e della classificazione e sottolinearne i momenti in cui l’ideologia, la pseudoscienza e gli agenti sociali permeano la scienza borghese. Il linguaggio, come dici, può essere la prima causa di questo inquinamento. Il corpo di lavori che sto presentando attualmente è, naturalmente, carico di attacchi diretti al linguaggio e alla significazione, dato che nei disegni, mascherati da tabelle informative, c’è un’apparenza logica veramente esigua.

PS: L’illuminismo portò poco dopo la presa della Bastiglia nel 1789 alla dichiarazione dei diritti dell’uomo, in cui donne e schiavi non erano implicitamente ammessi, ma nemmeno esplicitamente esclusi e nell’ambito delle antropologie sensistiche in quel tempo s’incominciò a ritenere anche inammissibile la cesura netta tra i diritti degli umani e dei non umani, degli animali. Jeremy Bentham fondatore dell’utilitarismo propose un’impostazione etica volta a minimizzare la sofferenza degli esseri senzienti. Secondo l’attivismo politico antispecista l’invenzione del concetto di specie è fondamentale per pensarsi come altro dall’animale. Lo sfruttamento dell’animalità rimanda al neolitico, alla nascita delle società agricole stanziali e coincide anche con l’inizio dello schiavismo. Per uscire dal dominio antropocentrico rispetto ai non umani senzienti, la domanda che ci si deve porre, per gli antispecisti, è non se possono parlare o se possono ragionare, ma se possono soffrire. Credi che l’intelligenza peculiare degli umani possa rimanere un parametro per determinare il valore delle altre specie zoologiche?

MD: Un problema fondamentale, naturalmente, è che noi tendiamo a inquadrare la discussione come umani da una parte e animali dall’altra. La parole “animale” è dannatamente inutile. Si riferisce a tutto, dai protozoi ai coralli, dai colibrì agli orangotango. Non c’è molto spazio per la differenziazione. Chiaramente, quando parliamo di animali, abbiamo bisogno di esprimere che c’è un mondo di differenze tra un serpente di mare e una balena assassina, tra un lupo e un grillo. Ci sono numerosi animali che condividono una forma di cognizione notevolmente simile alla nostra, inclusa una complessa struttura sociale. Non avrei nessun problema a includerli nel concetto di persona, con tutti i diritti e le protezioni che ne conseguono. Il problema di come gli umani immaginano il proprio posto nel mondo, rimanda alla formazione dell’idea più perniciosa e persistente della tradizione occidentale – la grande catena dell’essere o scala naturale. Il concetto che permane dal periodo classico fino a tutto il XIX secolo (e ovviamente trova espressione oggi), stabilisce la gerarchia e il senso dell’umano come l’apice del mondo naturale.
Penso molto a come la nostra cultura si sia evoluta come un rifiuto diretto dell’animalità, che dovrebbe includere la morte, il sesso, mangiare, invecchiare e espellere gli scarti. Il terrore della nostra mortalità ha molto a che fare con l’estinzione degli esseri con i quali condividiamo il pianeta. È indicativo il fatto che usiamo la parola “animale” come insulto.

PS: ll capitalismo potrebbe essere il modo in cui l’Homo sapiens ha espresso l’antropocentrismo ai danni del pianeta e della diversità. In questo senso il post-umano dell’etica inter-specista potrebbe mai svilupparsi dentro a un sistema capitalista la cui plasticità paradossale è quella di trarre vantaggio anche dal veganismo etico?

MD: Per quanto creda veramente che il capitalismo e il colonialismo siano stati i fattori storici più distruttivi per l’ambiente e la biodiversità del mondo, non penso che il capitalismo sia l’unica espressione del mondo informato dall’antropocentrismo. Sicuramente nella tradizione occidentale, come in numerose altre, la dominazione, il degrado e la distruzione dei luoghi e degli organismi naturali precedono il capitalismo. Tuttavia sono totalmente d’accordo che un genere di mondo dove un’etica post-umana e inter-specista o anche un luogo che valorizzi le cose e i luoghi selvatici per il loro essere intrinseco, non possono essere promossi dai valori del capitalismo che afferma che il benessere è generato dalla conversione delle risorse naturali.

PS: Parlaci del tuo ambientalismo reso ancora più radicale oltre che dall’utilizzo immaginifico delle categorie tassonomiche maneggiate con disinvoltura, dal tratto intelligibile dei tuoi disegni, dall’estetica garbata dei tuoi “cabinets” e da quello che è stato definito nel tuo lavoro il vuoto di distinzione storica rispetto ai reperti, in genere artificialia, che raccogli e ordini. Tutto rimanda all’hic et nunc: i tuoi reperti accuratamente disposti nell’indifferenziazione storica sembrano sovvertire intimamente quegli stessi standard di catalogazione museale positiva o positivista a cui ti rifai. La storia intesa come progresso lineare è deflagrata e con essa non dovrebbe estinguersi ogni illusione deterministica circa i futuri?

MD: Ci sono molti modi per essere un artista e pensatore ambientalista. Quando penso all’arte a servizio dell’ambiente e all’arte come parte di una costruzione progressiva della natura, sento che la situazione richiede “tutto l’equipaggio in coperta”. Il mio ruolo come artista è interrogare la storia delle idee e degli oggetti nel tentativo di capire come noi, come società, siamo evoluti in una relazione suicida rispetto al mondo naturale. Questa è la mia posizione circa il pensiero critico e la manifestazione di una nuova cultura della natura.
Comunque penso anche che una delle cose più importanti del ruolo degli artisti sia quello di nutrire e stimolare l’amore per la giustizia ambientale, cose selvagge e posti selvaggi, e non intendo solo luoghi incontaminati. Alla fine le persone salveranno soltanto ciò che amano, e ameranno solo ciò che incontreranno, conosceranno e di cui faranno esperienza. È questa cultura progressiva della natura che difendo. Prosperare richiederà la partecipazione di un’ampia varietà di artisti visivi – da quelli che fanno belle fotografie e fanno film squisiti sul mondo naturale, a quelli che lavorano con ingegneri e scienziati per trovare soluzioni pratiche ai problemi ecologici, a quelli che condannano la distruzione e l’avidità, a quelli che immaginano un altro mondo. Ognuno di noi avrà il proprio compito da svolgere. Il mio posto è quello di interrogare la storia delle idee nella tradizione espositiva della storia naturale, ma anche costruire lavori e spazi per incoraggiare interazioni fruttuose con le comunità bioniche.

PS: Per cancellare le migliaia di specie botaniche e zoologiche che ogni anno scompaiono dalla faccia della terra per qualche azione dell’uomo si è mantenuta la nomenclatura binomiale dei due ultimi taxa del metodo tassonomico di Linneo: genere specie in latino e corsivo? Non è struggente pensare a una catalogazione del mondo naturale di segno negativo?

MD: La gente spesso fraintende la mia critica alla tassonomia come una guerra alle metodologie scientifiche, mentre non è questo il senso. Dovremmo, invece, essere vigili circa le metodologie di influenza delle agende sociali, questo campo è uno strumento eccezionalmente valido per la nostra comprensione del mondo. La sistemica è un modo di tracciare le relazioni evoluzionistiche e, pur essendo un sistema artificiale, è una struttura che ci aiuta a comprendere e quantificare la biodiversità. Anche se la classificazione scientifica potrebbe essere nata come imposizione del pensiero gerarchico e come modo per comprendere il lavoro e i metodi del dio cristiano, si è trasformata in una disciplina essenziale per illuminare la complessità dell’evoluzione.
Il pathos a cui fai riferimento è qualcosa su cui ho lavorato a lungo (dalla fine degli anni Ottanta) – considerando che il periodo moderno si trova a cavallo tra la lista delle piante e degli animali “scoperti”, seguita dalla lista delle specie che si estinguono. Naturalmente, senza l’identificazione sistematica degli organismi, non avremmo la minima idea di cosa stiamo perdendo.

PS: Si dice che i collezionisti siano gli uomini/donne più passionali del mondo. Il tuo lavoro implicata sicuramente il raccogliere e l’ordinare in modo rigoroso, la classificazione è il terreno in cui si manifesta la tua libertà ascientifica di artista, ammesso che si possa definire in modo proprio tale attitudine alla libertà, rispetto all’azione classificatoria. Nella tua opera è l’oggetto ad avere un ruolo guida o è il sistema atto a contenerlo?

MD: Ordinare una collezione è incredibilmente simile alla pratica curatoriale che trovo quasi indistinguibile dallo stesso fare arte. Mentre spesso determino un ambito organizzativo prima di iniziare a collezionare, questo non può essere eccessivamente rigido, dato che il metodo deve essere in dialogo con gli oggetti stessi. Ci sono indubbiamente delle volte in cui un oggetto o una serie di cose sono già così singolari che l’intero ambito deve essere alterato per accoglierli.
Come dici, i miei modi di ordinare sono spesso ascientifici. In più evito la ricapitolazione di tropi organizzativi standard come la cronologia, le differenze regionali, i caratteri tassonomici, la funzione e forma o le operazioni casuali o fortuite. Per quanto problematica possa essere, la wunderkammer offre una gamma di principi di ordine allegorici che precedono l’Illuminismo e che possono essere espressivamente liberatori.

PS: Cosa presenterai da Pinksummer per la tua prima personale in galleria dal titolo By the Sea?

MD: Questa mostra è particolarmente eccitante per me poiché la gran parte del lavoro è il risultato del recente periodo di lockdown. La maggior parte del mio lavoro si basa su un’interazione con il luogo. Rispondo al luogo dove i progetti sono situati, ricerco, esploro e lascio che sia il posto a dirmi cosa fare. Improvvisamente, non ho avuto un luogo, un team, un budget, niente della mia normale struttura metodologica. Invece di rimanere paralizzato mi sono ricordato che sono un artista, e che non ho bisogno di molto di più di una matita, inchiostro e carta. Così gran parte dei lavori in mostra sono disegni e carte fatte in questo periodo.
Il disegno è stato a lungo un aspetto essenziale della mia pratica, ma in passato un grande disegno per me sarebbe stato di 30 x 40 cm. Questi nuovi lavori sono spesso molto grandi. È stato un momento importante per adattarmi e spingermi oltre la mia convenzionale gamma di espressione. La maggior parte dei lavori nella mostra sono in relazione alla questione della salute degli oceani e della biodiversità marina. È stato un punto centrale del mio lavoro per un po’ di tempo, ma ha anche molto a che vedere con la relazione di Genova con il mare. La mia città natale, New Bedford, Massachusetts, è anch’essa un duro porto industriale e una città di pescatori. Sento un’affinità con Genova basata sulla mia esperienza formativa di abitante di una città portuale. Parte di questa mostra arriva da un’infinità di problemi e sfide che le città affacciate sul mare affrontano.
Il lavoro relativo agli oceani non può fare a meno di essere in qualche modo malinconico considerando che ci sono così poche notizie positive che emergono dagli ambienti marini. Uno dei soli modi di rendere un lavoro come questo sopportabile è quello di impiegare umorismo, mestiere e complessità nel DNA critico dei lavori stessi.

 

Si ringraziano The Black Bag e Genova Cleaners per l’aiuto nella raccolta dei detriti plastici che il mare restituisce alle spiagge.