Ceal Floyer

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Alla fine di una cena stavamo mangiando un ananas fresco, quando un amico con l’aria di pronunciare una piccola, semplice verità, disse che mangiare l’ananas è qualcosa che dà l’impressione di fare bene. Di fatto l’ananas si lascia gustare senza trasmettere complessi di colpa: ha una bella forma, il suo giallo succoso è esteticamente gradevole, è buono, dà una sensazione di freschezza e dicono anche che sia detossinante.
Il paragone può sembrare azzardato se non proprio delirante, ma contemplare il lavoro di Ceal Floyer trasmette la medesima sensazione di fare bene: le sue opere oltre a essere compiute e perfette come un sillogismo, producono in chi guarda una riflessione che può essere assimilata a una sorta di ginnastica passiva per il cervello.
Floyer fruga nella densità dell’ovvio, lo sciacqua di ogni sorta di particolarismo, riducendolo all’essenziale, all’idea o universale, e poi raggomitolando il filo raffinato della logica classica, come in un processo inverso, ri-nomina quell’ovvio, lo ri-definisce svelando le latitudini e longitudini infinite del pensiero, la sua fenomenologia indefinita e ermeneutica e anche il suo lato perverso e finzionale. Non è più il linguaggio che rappresenta la realtà, ma la realtà si purifica prestandosi a diventare immagine del linguaggio. La relazione tra segno e significato, talvolta si fa così intima, che il senso vive nel suo referente. Altre volte Floyer noncurante delle convenzioni desemanticizza i segni reiterandoli per cavarne un’insospettabile vena estetica e decorativa, spesso flirta con i doppi sensi. Comunque ogni opera ha un senso se non un eccesso di senso.
Questa sorta di coincidenza o assoluta non coincidenza fa si che i lavori di Floyer mostrino, sotto il velo sottile dell’ironia, un corpo liscio, bellissimo: sono opere che si lasciano descrivere, ma le interpretazioni vi scivolano sopra. Non ci sono pieghe dove i parassiti si possano annidare. A volte fanno sorridere, ma non si tratta del gioco delle tre carte, non è neppure magia a meno che non si ritenga magica l’intelligenza, perché è di questa che stiamo parlando. Non c’è come fissare l’ovvio, girarci intorno, dargli una nuova identità muovendo dalla sua essenza, o da quella che per convenzione gli è stata affibbiata, che aiuta a uscire dalla droga della consuetudine; la consuetudine che con la sue rassicurazioni fasulle, senza proteggerci dai colpi del fato e anzi rendendoci ancora più inermi e vulnerabili, paralizza il pensiero.
Se il nostro pensiero fosse più atletico forse l’isola dei famosi sprofonderebbe insieme ai famosi e se anche il buon governo dovesse rimanere utopia, almeno si potrebbe ambire al governo buono. Che non si dica poi che l’arte, ogni forma d’arte, sia astratta e elucubrativa, perché l’astratto, se non proprio l’assurdo dimorano altrove, spesso in quella che definiamo a sproposito la normalità.
Ceal Floyer alla sua terza personale da Pinksummer presenterà due opere nuove, altresono disponibili su richiesta.