Cesare Viel – Scrivere il giardino
Comunicato stampa in forma di intervista
Pinksummer: Tuo padre per certo non deve essere stato un tipo bagnato.
Il tuo Il Giardino di mio padre presentato al PAC di Milano nella personale Più Nessuno da Nessuna parte, ci ha fatto pensare all’ultima puntata della seconda stagione della serie televisiva The End of the F***ing World. Soprattutto alla fine, quando James (Alex Lawther), convinto da Alyssa (Jessica Barden), va con la ragazza sotto a un cavalcavia per spargere le ceneri del padre che sta portando con sé da parecchio tempo. James cerca maldestramente di rovesciare il contenuto dell’urna industriale dorata, ma esce una poltiglia grigia che si spiaccica a terra. Non vola via proprio niente. James giustifica il fatto senza sorpresa, considerando che suo padre da vivo era sempre stato un po’ bagnato. È allora che Alyssa, in quel suo modo minerale piatta, dice che morire è proprio una cazzata, perché si perde tutto.
Il posto sotto al cavalcavia era stato il luogo in cui il padre e la madre di James si erano incontrati per la prima volta, così orrendamente squallido che Alyssa chiede a James se i suoi genitori si trovassero lì perché stavano pedinando qualcuno. James risponde che prima del cavalcavia, quel luogo era un parco.
Chissà se l’essere genitore implica una stereotipizzazione accompagnata anche nei casi antiretorici, da un’affettuosa accezione negativa. D’altra parte, i genitori migliori si devono nascondere ai figli, per diventare un modello, il modello, un po’ come la scrittura fa con le parole e la natura con tutti.
Quegli oggetti che tu diseppellisci di Il Giardino di mio Padre, non dissimulano per niente il sentore di un percepito arido.
Che domanda vorresti ti venisse formulata rispetto a quell’opera? E poi, eventualmente, come ti risponderesti.
Cesare Viel: Con mio padre ho avuto un rapporto silenzioso, a volte anche molto distante. La domanda potrebbe essere: Che cosa mi ha portato a immaginare e a voler realizzare un’opera come quella?
Un celebre verso del poeta persiano Rumi dice: “Al di là di ciò che è giusto e sbagliato c’è un giardino, là ci incontreremo”. Dunque, forse, prima di tutto, il desiderio di una riconciliazione. Un deporre le armi, sedersi sul bordo di una relazione e finalmente ascoltare il silenzio. E camminarci dentro. Lentamente. Se l’arte ha una funzione è quella di farci percepire in un colpo solo tutta la gamma delle emozioni e dei pensieri racchiusi in una data situazione, reale o immaginaria, che abbiamo vissuto o che potremmo vivere.
Ps: Se Socrate fosse tra noi come tuo amico o conoscente, ti tratterrebbe dentro a un dialogo fittissimo per il titolo che hai scelto per la tua quarta personale da pinksummer Scrivere il Giardino. Si dice che avesse una marcata sfiducia nella parola scritta, sosteneva che una volta composto, un libro è cosa morta: chiunque può interpretare uno scritto a piacimento e di conseguenza è illusione di sapere. Direbbe che il giardino è la sede privilegiata della pratica filosofica espressa nella forma dialogica, cadenzata dalla tesi e dall’antitesi, come fossero usignoli che si rispondono a distanza, da albero a albero.
Il giardino è lo spazio utopico per eccellenza perché i giardinieri vivono per il futuro, devono intuire ciò che potrebbe essere, ciò che ancora non è.
In questo senso, anche noi sentendoci un poco giardinieri, immaginiamo che il tuo giardino, seppure scritto, non sarà mai un libro, giacché la tua scrittura non sottende alla narratività, neppure alla più flebile e disincantata delle narrazioni. Le tue frasi assomigliano in questo senso ai semi, e per quanto le parole in sé siano poco inclini a soggiacere alla gravità, le tue frasi sono come le seedbombs della green guerrilla. Sei un attivista garbato da sempre, però come ogni attivista vuoi anche tu un mondo migliore. Parlaci della tua scrittura sentenziosa e delle differenze e anche del futuro. Immagina la domanda che vorresti ti fosse fatta sui domani.
CV: Il giardino è un mondo, la frase è un mondo. Giardino, mondo, frase s’intrecciano e si rispecchiano l’uno nell’altra. Non so se avesse ragione Socrate a proposito della scrittura, ma so che per me la scrittura è un dialogo infinito con la superficie, su cui tutto scivola e rotola. La scrittura porge un piano, come la mano un piatto, nello spazio. Una pagina, un foglio, un volto, un corpo, una curva, una parola, sono superfici di varia natura e grandezza. Ora scrivere frasi per me significa soprattutto aspettare la giusta calibratura e porosità nei pensieri.
Mettere a contatto tra loro vari piani. E vedere che cosa succede.
Aspetto che le domande affiorino a poco a poco dal basso, come suoni dentro il corpo. C’è un eterno differente ritorno delle frasi scritte in questo giardino creato per loro. Ospiti resistenti, timidi e forti come i fiori, le piante e i ricordi.
Prima di iniziare qualsiasi progetto perché non camminare tra gli alberi? Far crescere le intenzioni come crescono gli alberi. Questa è ora la mia domanda-auspicio sul domani.
Ps: Alla foresta spontanea è seguito il frutteto, il giardino. In Sicilia chiamano gli agrumeti giardino. Nel Cantico dei Cantici è scritto: “Come un melo tra gli alberi del bosco il mio diletto tra i giovani. Giardino chiuso sei tu, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un paradiso di melagrana, con i frutti più squisiti, alberi di Cipro con nardo, nardo e zafferano, cannella cinnamomo con ogni specie di albero da incenso, mirra e aloe con tutti i migliori aromi…”.
Non credi che la nostra idea di giardino, assimilabile all’idea di Eden, di paradiso perduto, rimandi al fallimento a cui ci ha condotto la disobbedienza del peccato originale?
Pensi che abbiamo trattato il mondo e le altre specie umane, animali, vegetali e minerali in malo modo, per chiamarci fuori da una ferinità per cui abbiamo creduto di non essere tagliati? Per un mito, una credenza, una superstizione? È il muro che abbiamo eretto per separarci dalla natura la matrice del nostro progresso, del nostro giardino? È ancora possibile cambiare il verso delle scritture?
CV: Hortus conclusus, chiostro, frutteto… Nella storia del giardino risuonano desideri e reali bisogni di raccoglimento e speculazione filosofica, di coltivazione, crescita e mantenimento del ciclo biologico. La natura e le forme del giardino sono cambiate nel tempo così come via via si sono trasformati il nostro linguaggio e la nostra cultura.
Il giardino in fondo ci pone ogni volta una domanda sull’origine, sul punto di partenza e sulla direzione che intendiamo intraprendere. Stiamo vivendo oggi un tempo così complesso e difficile. Le nostre scelte sull’ambiente saranno determinanti per il futuro. Questioni planetarie talmente importanti, e di tale portata, che fanno tremare. Mi sento fuori scala. Un minuscolo punto perduto nella sabbia. Ecco che arriva dunque, proprio qui, il momento di sedersi in giardino. Ognuno come può e per quanto gli riesce. Passare un po’ di tempo apparentemente senza far nulla, per riposare e preparare le energie necessarie. Ritagliarsi momenti di giardino nella nostra vita. Forse solo così si può incominciare a pensare di cambiare anche il verso delle scritture. Agire la pausa, sviluppare una diversa forma di attività.
Ps: Il grande giardiniere Gilles Clément autore di Il Giardino in Movimento pensa al mondo come a un giardino, un giardino planetario di cui dovremmo essere tutti giardinieri consapevoli.
Afferma che in ogni spazio pubblico, in ogni giardino, si dovrebbe lasciare sempre uno spazio incolto libero da ogni mano, da ogni disegno per le specie pioniere e per gli insetti impollinatori. Per lasciare alla natura il vuoto per sviluppare la sua propria energia. Il tuo agire la scrittura rimanda talvolta a questa sorta di agevolazione, all’immobilità, al silenzioso incantamento. Il vuoto che crei tende a agevolare il tropismo dell’imprevedibile?
CV: Assolutamente sì. Ascoltare con consapevolezza l’allenamento del giardino, con i suoi tempi lenti, le sue attese, le luci e le ombre. Trovo fondamentale l’idea di Clément di lasciare una porzione di spazio libero, incolto. Per aprire fessure. Fare spazio. Considero gli spazi vuoti, e il lasciarli essere, vitali per ogni progetto, relazione, gesto o pensiero. Il vuoto e il silenzio: ingredienti essenziali per accettare l’imprevedibile e assecondare il movimento delle cose. Tra il mio giardino scritto e il “giardino in movimento” di Clément sento una grande affinità, un’intensa risonanza.
Ps: Virginia Woolf, su cui hai lavorato molto, a proposito del giardino di Monk’s House pare apparecchiarlo come la Clarissa Dalloway del romanzo apparecchia fin dal mattino, tra pieni e vuoto, la sua festa della sera.
“Io e Leonard abbiamo comprato un campo e stiamo facendo progetti ambiziosi di ogni genere per metterci terrazze, chioschi, stagni, ninfee, fontane, carpe, pesci rossi, statue di signore nude e polene di navi da guerra che si riflettono in laghi ombrosi”.
L’immagine dell’invito della mostra Scrivere il Giardino è bellissima. Cosa presenterai da Pinksummer?
CV: L’invito è un’immagine da un’enciclopedia illustrata del 1908 appartenuta a mio nonno. Sfogliare le pagine di quei volumi in tedesco e guardare le illustrazioni a colori è stata un’esperienza emotiva e mentale. Tutto un mondo imprevisto che si rivelava. Mi sono proposto di fare altrettanto in galleria. Aprire e svolgere un mondo-giardino, per camminarci dentro, sostare, osservare, leggere, meditare, fare esperienza. Passato, presente e futuro convivono e collaborano in questo progetto. Ho immaginato frasi-superficie per un ambiente che si percorre ora ma che provengono anche da altri tempi e mondi affettivi. Alcune parti scritte di questo giardino a pavimento sono ricordi personali del giardino di una casa della mia famiglia, in Trentino.
Alla vasta e orizzontale mappa-giardino sono accostati poi nuovi collages. Fogli di un muto erbario di astratte forme modulari che tornano eguali ma sempre diverse.
Una scritta bicefala a parete dice: “inafferrabile si manifesta, la natura ama nascondersi”. Frase-innesto fra Laozi ed Eraclito. Nucleo segreto e misterioso di tutta la mostra.