Bojan Sarcevic – Everything makes sense in the reverse

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Pinksummer: “Everything makes sense in the reverse”, il nome della grande scultura che da il titolo alla mostra che presenterai da pinksummer. Si dice che nell’infinito, che in quanto tale sfugge a qualsivoglia proporzione, abbia luogo la coincidentia oppositorum. Un filosofo rinascimentale affermava che se dall’idea d’infinito, che è qualcosa nel contempo massimamente grande e massimamente piccolo, si sottrae l’idea di quantità, massimo e minimo coincidono essendo due superlativi. L’idea di infinito è al di sopra di ogni affermazione e negazione, in Dio, così in altri tempi i filosofi nominavano l’assoluto, tutte le distinzioni che nelle creature si ritrovano come opposti coincidono. Credi che ogni creatura, ogni esistenza finita, trova il senso nel suo principio, come il tassello di un mosaico?

Bojan Sarcevic: be, no, non credo esattamente così. Tanto quanto gli opposti possano essere concepiti lontani – opposti di ogni genere – starò sempre con l’altro, quello che non calza, quello che è troppo grande o troppo piccolo, proprio con quello che disturba il mosaico. Secondo me non esiste significato se non nel movimento della ricerca o in questa tensione verso il tutto. Questo perché non credo che ogni creatura trovi il suo significato nella causa e per essere più preciso non penso che ogni creatura possa portarsi così lontano nella comprensione del più grande enigma della vita. Ma credo che tutte le creature siano significanti proprio rispetto alla ricerca di questa causa.
Fortunatamente, non riusciremo mai a conquistare una tale meta, così possiamo sempre tentare di fare meglio, ma se credessimo di poterla raggiungere, sarebbe necessario il dottore. Ciò nonostante, talvolta sentiamo la pienezza e suppongo che siano i momenti in cui raggiungiamo i nostri limiti e quando ciò accade riconosciamo l’altro come nostro, proprio nostro, che è un altro modo per dire che lo accettiamo.
Suppongo di essere troppo vecchio per desiderare l’assoluto e ancora troppo giovane per perdere la mia più ardente curiosità per l’inconoscibile. In altre parole sono romanticamente utopico rispetto alla posizione intermedia. Tuttavia, le creature di cui stiamo discutendo appartengono alla fantascienza, materia di studio del filosofo e dello psicanalista. Come artista, per me il reale è quel topo che è stato mangiato in giardino dal mio gatto.

P: La ragione essendo discorsiva afferma e nega, l’analisi tiene separati gli opposti secondo il principio di non contraddizione. Una volta affermasti che quando cerchiamo la forma siamo dentro all’analisi, quando la forma s’impone da sola adeguandosi perfettamente allo sfondo, allora l’assoluto si manifesta ed è allora che l’esistenza raggiunge la sua pienezza. Pensi che per cogliere il trascendente nell’immanente occorra raggiungere una forma superiore di conoscenza che con un atto di intuizione sappia cogliere questi “rari momenti di luce” in cui gli opposti coincidono? E’ questa forma di conoscenza che chiami spontaneità?

B.S: Sì. Esatto. La vera spontaneità non è nulla se non una bugia estremamente efficace, forse la più efficace. Un movimento spontaneo è quello che sembra incarnare il semplice flusso della natura ma in realtà è il risultato di un complesso processo intellettuale, morale e emotivo che arriva solo attraverso l’esperienza del tempo reale. La più elevata spontaneità potrebbe assomigliare al sublime dei matematici, ciò che tu chiami forma superiore di conoscenza. Ma non uccidiamo la magia, siamo incapaci di ragionare intorno a queste cose con la logica, tuttavia ci proviamo disperatamente. Questo accade perché la bellezza sta nell’inintelligibile. Essere spontaneo significa riuscire a creare connessioni tra le cose come se quelle connessioni fossero in attesa di essere rivelate. Significa avere fede nelle cose e nella nostra relazione con esse. L’intuizione è la sensibilità di questo legame, del confine che c’è tra ogni cosa, suppongo che potrebbe essere qualcosa di simile a ciò che tu chiami una forma superiore di conoscenza espressa con un atto di intuizione.

P: Il concetto di spontaneità intesa come forma superiore di conoscenza a cui bisogna tendere e dunque intesa da te come “risultato di qualche cosa” è centrale rispetto al tuo lavoro. L’uomo a differenza degli animali per stare nel mondo come acqua nell’acqua, deve guadagnarsi la spontaneità sfuggendo alla determinazione. Viene in mente Thoreau quando in Walden scrisse: “(…) Pensate a quelle signore che si preparano all’ultimo giorno della loro vita tessendo cuscini da toilette per tema di tradire un interesse troppo vivo nel loro destino: quasi si potesse uccidere il tempo senza ferire l’eternità”. Una volta ci hai detto che l’arte o la morte hanno il compito di rivelare la vita nella sua pienezza. Sotto la luce di questa ricerca di spontaneità, la prima parte del tuo cammino, che comprende anche la mostra sui “leftovers” presentata nel 2002 da pinksummer, appare come propedeutica a una sorta di “seconda navigazione” seppur nel sensibile. I tuoi primi lavori tendono sempre a creare una distanza, una non conformità, per rompere le catene della determinazione e fare in modo che il mondo dialoghi di nuovo con la nostra essenza in modo immediato: “(…) Prima di pronunciare l’antica parola smarrita e invano ricercata occorre però sciogliere i legami che impediscono di proferirla” (Elèmire Zolla)?

B.S: Rompere con quelle che sono le nostre certezze più radicate. Creare la distanza. Cambiare il punto di vista e ricambiarlo. Questi sono i compiti più difficili che si è chiamati a compiere. Quanto è difficile uscire dal cerchio? Molto perché questo paradosso ferisce: se realmente vogliamo sentirci parte del mondo, in piena coscienza, dobbiamo uscirne. Anche tenendo un solo piede fuori da lì, possiamo sentirlo veramente, girandoci attorno evitando di essere risucchiati nel vortice. La transizione deve essere tuttavia sottile e permanente. I criminali vogliono cambiare il mondo alla stessa maniera degli artisti, ma essi ne escono senza pensare al modo per rientrarvi. Dissolvere le costrizioni è sempre un atto violento e potenzialmente pericoloso se si perde il senso della necessità di ambo le parti “dentro e fuori” e di una inevitabile tensione fra esse. Non c’è soluzione tranne ripetere la domanda in un modo migliore.

P: Le nuove grandi sculture che hai presentato da BQ e quella che presenterai da pinksummer possiedono un’armonia che induce al piacere della contemplazione, non sembrano costruite, ma cresciute sul terreno dei rapporti simbolici con le cose. Quando ci mandasti l’ immagine di una delle “small sculptures” (un vecchio pezzo di legno preso da un’antica casa, forato da struttura in ottone, che tu nella descrizione definisci organica, su cui s’incrociano due sottili fili, uno rosso e uno verde), ci è sembrata qualcosa di forte e fragile nel contempo. Ci ha fatto pensare al vecchio pescatore Santiago di Hemingway, che non sa arrendersi al destino mantenendo un rapporto stoico con il reale. Hai scritto in una e-mail che metterai le piccole sculture vicino a quella grande per creare una sorta di eco. Le piccole sculture ci appaiono come un simbolo di dignità umana. Racconta delle tue sculture.

B.S: Dunque, non mi spingerei a spiegare le mie sculture in modo morale o moralistico. D’altra parte, non penso che questo sia mai stato lo scopo dell’arte. Ma devo riconoscere rispetto a possibili estensioni ciò che intendete, e mi piace il fatto che la vostra analisi raggiunga quelle dimensioni (dignità). Per me sono essenziali le differenti nature dei materiali e le forme e la loro interrelazione quando vi si mura dentro una struttura significante. Mi riferisco alle misure, intendo le sfumature di colore. Il loro scopo è quello di esprimere il momento in cui la più meccanicistica e pura materia messa in un determinato contesto formale suggerisce un altro livello e apre la possibilità di un linguaggio coerente. Diventa poi impossibile decidere se l’impressione di organicità sia il risultato di tali incontri o l’origine della nostra attiva comprensione delle loro emanazioni.