Bojan Sarcevic

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Pinksummer: “Anche se in un primo momento lo potrebbe sembrare, il tuo fare non è mai off-line, cioè non modella situazioni astratte, accentua invece il fattore situazionale (il luogo ad esempio) e dunque esistenziale. Pensi che l’esistenza sia la struttura del condizionamento situazionale?”

Bojan Sarcevic: “Che l’esistenza sia connessa alle condizioni di una situazione particolare è un’evidenza. Ciò che non è invece evidente, è la natura di questo legame. Non credo che l’esistenza sia una struttura, ma piuttosto che necessiti di una struttura appropriata per apparire, manifestarsi nella sua autenticità. Un’esistenza non esiste che in un campo delimitato. S’inscrive da qualche parte: in un luogo, un momento, in un rapporto. Una situazione o un luogo da soli non fanno mai nascere qualche cosa. La nascita si produce dall’incontro di due strutture preesistenti: da una parte c’è il mio sguardo e tutta la sua storia e dall’altra un luogo che anch’esso ha una storia. Ciò che si produce dall’incontro di questi due elementi, l’adeguamento che ne risulta non può essere determinato per addizione come se si trattasse di un calcolo. L’alchimia fa uscire qualcosa di nuovo, di imprevedibile e tuttavia in un certo senso di necessario. E ciò che accade in questo modo s’impone all’ esistenza e sussiste in sé e per sé nell’oblio di ciò che l’ha generato.”

P: Pensiamo al titolo di quel tuo video con i cani nella chiesa olandese: “It Seems that an Animal is in the World as Water in the Water” (1999). Credi che l’esistenza sia diversa dal mero esserci presenziale?

B.S: Capisco il motivo per cui mi chiedete se per me l’esistenza si riduce all’essere presenziale in rapporto a questo lavoro preciso. Di fatto può sembrare che il modo di essere dell’animale, nel caso specifico il cane, sembri qui come una materializzazione della semplice presenza, dell’immediatezza, ciò che è in realtà. Un cane non ha nessuna riverenza verso quei luoghi che noi consideriamo sacri. Abbaia là dove noi abbiamo l’abitudine di osservare un silenzio rispettoso. Ma io non invidio per niente la cieca libertà del cane e penso che sarebbe ingenuo considerare il suo modo di essere come un modello. La presenza dei cani nella chiesa non esprime una volontà blasfema o di ribellione, ma mi permette di introdurre una distanza critica in un rapporto che è naturalmente quello della sottomissione e del rispetto. Al limite tutto, proprio come il cane, non ha un rapporto con la chiesa giacché ogni rapporto presuppone un minimo di distanza; alla stessa maniera noi non possiamo più propriamente parlare di rapporto con questo luogo, perché il rapporto è già pre-formato, che si tratti di un sé credente o di un turista. La presenza per ciò che riguarda l’uomo è immediatamente piena di senso, non ci sono delle presenze immediate, ma sempre delle mediazioni e ancor più in rapporto a luoghi come le chiese che debordano di segni e rappresentazioni. Paradossalmente, il trovare un rapporto immediato autentico, richiede un lavoro immenso. Bisogna aver compreso che un segno è un segno, una costruzione è una costruzione, che il valore non è contenuto nella pietra, ma nello spirito che si rende libero come un cane giacché il silenzio di questo luogo è quello più propizio al raccoglimento.

P: Nel tuo lavoro ricorre l’idea di traccia, che può essere una forma architettonica estranea che si confonde con il preesistente (Untitled 1998 -99-00-01-02?), un fluido che fuoriesce misteriosamente dagli stivali di un lavoratore (Irrigation-Fertilisation 1999), o ancora lo sporco negli abiti da lavoro (Worker’s Favourite Clothes Worn while S/He Worked 1999-2000. La traccia è un’emanazione dell’essere-nel-mondo?

B.S: La traccia un’emanazione? Si. Ma sarebbe riduttivo fermarci a questo. Credo che esistano due tipi di traccia. C’è dapprima la traccia che è un gesto, una manifestazione volontaria e quasi rivendicativa. C’è una traccia che si brandisce come uno stendardo per denunciare la propria presenza nel mondo. Con essa demarchiamo il luogo che ci circonda. E poi, c’è la traccia subita, che ci segna e ci determina forse nostro malgrado. Ma ciò che vi è di comune fra i due tipi di traccia sono segni, è necessario che esse siano viste, lette, descritte, in breve che siano riconosciute come manifestazioni ed emanazioni di un essere. E’ in questo momento preciso che questo essere diventa veramente essere-nel-mondo. Non credo sia sufficiente che un essere voglia manifestarsi, è necessario una eco esterna anche se questa eco, non la si percepisce.

P: In “Friezer” Jorg Heiser assimila il flusso d’acqua che fuoriesce dalle scarpe del lavoratore e ricopre il suolo in “Irrigation -Fertilisation” al dripping di Pollock. La polemica antiformale, nata in un momento di particolare instabilità storica, tende a contrapporre alla forma che ha un senso stabile, permanente e dunque positivo ad aspetti più problematici della realtà. La guerra, l’odio e la distruzione sono di fatto situazioni-limite che riassorbono il mare dell’esistere nel porto dell’assoluto: il tempo, l’irrevocabilità del passato, la morte. Come pensi l’esistenza in rapporto alla trascendenza?

B.S: Per me il gesto, l’azione sono momenti di incarnazione della trascendenza. I momenti in cui l’esistenza si manifesta nella sua pienezza sono precisamente quelli in cui il trascendente non ha più niente di trascendente, ma diventa perfettamente immanente. L’assoluto è in qualche modo presente nella spontaneità. Quando cerchiamo la forma, siamo dentro all’analisi, attuiamo la distanza dello sguardo critico. Quando la forma si impone da sola adeguandosi perfettamente allo sfondo, allora l’assoluto si manifesta. Si tratti di rari istanti di luce. Ma io non farò l’apologia della spontaneità ingenua che crede che sia sufficiente essere spontanei per essere. La spontaneità arriva sempre per me come il risultato di qualche cosa. Riguardo al secondo aspetto della vostra domanda, non credo che si debba cercare forzatamente un legame di necessità tra le contingenze storiche e politiche di una società e le creazioni estetiche nuove.

P: Cosa presenterai da pinksummer?

B.S: Ciò che presenterò da pinksummer è un’esposizione concepita sugli avanzi. Comprenderà fotografia, disegno e scultura. Al posto di concepire un progetto specifico qualsiasi per la mostra, ho voluto mostrare delle immagini snap-shot: oggetti o cose che conservo nei miei taccuini senza avere mai pensato a considerarli come opere d’arte. Questi resti esistono solo in virtù dell’essere il risultato di processi: sono tardivi e mai originali. Sono ciò che, nel mio lavoro, non appartiene alla parte presa in “considerazione”. L‘indeterminazione, qualità che connota queste immagini e oggetti, non è più caos indistinto, ma è la capacità di sfuggire alla determinazione. Le cose non dovranno esistere che in rapporto alla propria essenza. Vorrei proprio dimostrare al contrario che i resti sorgono da una non-coincidenza tra l’essenza e l’esistenza, perché è proprio l’esistenza che introduce questi “di troppo” o “di meno” irriducibili. L’esistenza, questa frangia contemporaneamente infima e straordinaria che distingue un possibile e un reale. I resti, ciò che fa in modo che una cosa è ancora altro rispetto a tutto ciò che si può dire e comprendere.

P: Ci hai detto che avresti voluto scrivere il comunicato stampa per la mostra da pinksummer, ma che eri curioso di sapere quali fossero le nostre domande. Alla stessa maniera ci è rimasta la curiosità di sapere cosa avresti scritto sul comunicato stampa senza le nostre domande.

B.S: Avrei scritto senza dubbio le stesse cose che ho scritto sopra rispondendo alle vostre domande.