Tamar Guimarães – Canoas
Il corto “Canoas” girato in 16mm da Tamar Guimarães commissionato per la Biennale di San Paolo nel 2010, sussume il titolo dalla casa che Oscar Niemeyer costruì nei primi anni ’50 per sé e la sua famiglia nella foresta atlantica che sormonta Rio de Janeiro, “Casa das Canoas”. Accadde in questa casa sinuosa e bellissima, o forse nei dintorni di essa, che il neoeletto presidente Juscelino Kubitscheck nel 1956 condivise con l’architetto il suo grandioso progetto politico di costruire Brasilia. Viene quasi da immaginare Kubitscheck mentre dice “Oscar, questa volta costruiremo la capitale del Brasile”*, alludendo al fatto che la città sarebbe dovuta sorgere prodigiosamente, da lì a quattro anni, lontana di tanti e tanti chilometri dall’antica fascia costiera urbanizzata dal colonialismo europeo. Brasilia è un sogno cresciuto per integrare le regioni inospitali del settentrione mai sfiorate dal progresso, nel programma di urbanizzazione, industrializzazione, educazione, di modernizzazione in una parola, che il presidente aveva in testa per un paese che avrebbe di fatto governato solo pochi anni. Kubitscheck rimase al potere fino al 1960, fu accusato poi dai suoi avversari di corruzione e di aver fatto crescere a dismisura il debito pubblico. Nel 1964 l’ex presidente si ritirò dalla vita politica e nel 1976 morì in un incidente automobilistico, le cui cause non furono mai chiarite del tutto, ma probabilmente si trattava di un’ombra proiettata dalla circostanza che era stato un presidente amato dai brasiliani e in questo senso, un re fasullo potenzialmente da bruciare alla fine del carnevale, per propiziare un futuro sempre migliore. Nonostante il regime militare avesse vietato qualsiasi manifestazione, andarono in più di 100000 all’aeroporto di Brasilia per accogliere l’ultimo atterraggio di Juscelino Kubitscheck e furono proclamati tre giorni di lutto nazionale.
Brasilia era una città ideale informata sull’utopia socialista, in quella città non doveva esistere la proprietà privata perché tutti gli appartamenti appartenevano al governo per essere affittati ai lavoratori. Ministri e lavoratori avrebbero condiviso il pianerottolo e l’ascensore da buoni vicini di casa, perché a Brasilia non dovevano esserci quartieri alti e quartieri bassi. Il progetto urbano era di Lucio Costa, gli edifici di Oscar Niemeyer, l’invenzione paesaggistica di Roberto Burle Marx. Niemeyer affermò sempre che l’uomo è infinitamente più importante dell’architettura e che fare politica è un’attività di pensiero che non può prescindere dall’esigenza di guardarsi attorno, per accorgersi che le cose non vanno bene, ma possono essere costantemente migliorate.
Dopo, dal 1964 al 1985, per ben 21 anni, in Brasile resse la dittatura militare.
In progetti sviluppati da Tamar Guimarães e da Tamar Guimarães e Kasper
Akhøj le proiezioni di un modernismo splendido di “ordine e progresso”, assumono connotazioni popolar-metafisiche, che pur muovendo dalle città terrene modernizzate, appaiono infinitamente più celesti. Ci riferiamo al progetto “A Man Called Love” del 2008 e in specifico, alla burocraticissima città astrale descritta dal medium psichico Francisco Candido Xavier in “Our Home” del 1944. Alludiamo poi a “Capitain Gervasio’s Family” con la sua evocazione della mappa ectoplasmica che connette venti città astrali del Brasile, fluttuanti sopra una parte molto estesa del territorio brasiliano. La mappa è stata informata da una medium psichica che vive nella città di Palmelo, una città di circa 2000 abitanti, la metà dei quali sono medium psichici. I medium di Palmelo praticano la“magnetic chain”, un metodo per trattare differenti tipi di malattia. “Capitain Gervasio’s family” (2013), è una “film installation” commissionata e presentata dalle e alle 55esima Biennale di Venezia “Il Palazzo Enciclopedico” e 31esima Biennale di San Paolo “How to Talk about Things that don’t Exist” – la prima biennale di San Paolo dopo la morte di Oscar Niemeyer, avvenuta nel 2012.
“Canoas” invece, prima di essere film è stata un cocktail party, un po’ vero e un po’ finto, un po’ reale e un po’ immaginario, come del resto sono tutte le feste organizzate in modo da lasciare uno spazio perché il flusso di energia determinato dall’interazione tra i convitati, sfoci nell’invenzione dell’inatteso e dell’inedito. Come un corpo glorioso meno soggettivo e più oggettivo, costituito dai sentimenti e dalle emozioni degli invitati, che illumina l’ambiente di una diversa costellazione di senso. Tamar Guimarães in un’intervista con Pablo León de la Barra pubblicata da Vdrome, assimila il party a un carnevale minore. Come se la situazione particolare e intensificata della festa fosse un travestimento temporaneo, che libera la soggettività in funzione di una nuova formazione del sé di natura più oggettiva o quantomeno più collettiva. I riferimenti di Guimarães per “Canoas”, rispetto alla ricerca meticolosa che precede ogni suo progetto, sono molteplici e vanno dal concretismo terapeutico di Lygia Clarck, al cinema di Jacques Tati, fino a Gilberto Freyre. Il parallelismo demistificante di Guimarães tende a ricondurre il modernismo brasiliano all’idea che l’architettura, la casa, sia un riflesso dell’organizzazione sociale e politica brasiliana di ordine squisitamente patriarcale, come viene interpretata nel saggio di Freyre del 1933 “Casa-Grande & Senzala”, tradotto in italiano con il titolo “Case e catapecchie, la decadenza del patriarcato rurale brasiliano e lo sviluppo della famiglia urbana (Einaudi 1972)”. Nella medesima intervista con León de la Barra, Guimarães parla dell’ipotesi che il modernismo brasiliano sia nostalgico della sensualità dell’architettura coloniale, che sotto la sua ala-casa dominata dal patriarca, accoglieva proprio tutti: mogli, figli, figlie, amanti e schiavi. L’intento di Tamar Guimarães è sempre micrologico, vale a dire finalizzato a cogliere nel frammento un intero momento storico, per dirla con Walter Benjamin: l’individuo diventa teatro di un processo oggettivo. Tamar Guimarães converte il pensiero in un’immagine che ha un rapporto con la memoria per scardinare le determinazioni consuete e raggiungere un pensiero più emancipato della contemporaneità.
Il cocktail party concepito da Tamar Guimarães dopo una visita a Casa das Canoas che la lasciò intravvedere la fantasmagoria di eleganti signore intente a chiacchierare a bordo piscina, è stato organizzato mescolando pochi attori e attrici, con amici e a amici di amici imbucati, e personaggi istituzionali che erano attivi sulla scena culturale brasiliana ancor prima dell’inizio della dittatura militare. Molti degli invitati al “pre-party” intimo a Casa das Canoas, da lì a poco si sarebbero recati al padiglione Cicillo Matarrazzo nel parco Ibirapuera per l’inaugurazione e il party conseguente, della biennale di San Paolo per la quale il progetto “Canoas” si stava attualizzando in una festa che sarebbe diventata un film. La pratica ermeneutica applicata da Guimarães per liberare la carica sensuale di Casa das Canoas, utilizzata spesso negli anni come set per servizi di moda, video musicali, saop opere per la tv e riprese cinematografiche, sembra rivelare che il modernismo in Brasile, forse con modalità peculiari, ma non diversamente che altrove, al di là del sogno di democratizzazione del paese, è rimasto un gingillo borghese, la cui frequentazione alle classi meno abbienti era concessa in quanto servitù, un po’ come accadeva nelle colonie fondiarie dei grandi proprietari terrieri trattate da Freyre.
Ci viene in mente qui in fondo al comunicato stampa un aneddoto buffo di un amico a cui un collega di Rio de Janeiro, innamorato dell’era modernista in Brasile, mentre stava raccontandogli quanto il modernismo brasiliano fosse stato grandioso, mentre quello argentino un po’ così-così, s’interruppe di colpo per chiedergli guardandolo dritto negli occhi: “E voi in Europa avete tenuto il modernismo?”.
*Ci piace immaginare che il sindaco di Genova Marco Doria, con il presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo e il nuovo presidente della Regione, si recassero tutti nello studio di Renzo Piano sulle alture di Voltri, all’estremità ovest di Genova, e gli dicessero: “Renzo, Genova rinascerà riscoprendo il mare attraverso il canale “Blueprint”, te lo faremo costruire e assieme faremo tornare l’acqua dov’era un tempo, te lo promettiamo e magari dopo, smetterà anche di piovere così assurdamente e Genova non farà più solo la fortuna degli ombrellai ”.