Xavier Veilhan

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“People think monuments should come out of the ground, never out of the ceiling, but mobiles too can be monumental” (Alexander Calder).

Quando lo scorso autunno visitammo la mostra di Xavier Veilhan al Centre Gorge Pompidou, divisa tra lo “spazio 315” e il forum, la sensazione fu quella di trovarsi di fronte a due installazioni separate e autonome l’una rispetto all’altra. A posteriori però ci accorgemmo che nonostante la distanza formale e concettuale delle due opere, esse riconducevano entrambe alle idee di spazio e di movimento. L’installazione nello spazio 315 si intitolava “Vanishing Point”, punto di fuga: nella storia dell’arte è il punto situato sulla linea dell’orizzonte in cui convergono tutte le linee nella rappresentazione dello spazio rispetto all’illusione della prospettiva lineare. Un’installazione complessa, quasi geometrica, che assorbiva lo spazio in una prospettiva di movimento ”suggerito” dal concetto statico della rappresentazione. Al contrario ”Le Grand Mobile” sostenuto dalla indeterminazione cromatica del nero istituiva un rapporto continuo con il grande spazio del forum, senza stravolgerlo, danzandovi dentro con una grazia nel contempo leggera e maestosa.

Veilhan ha scritto a proposito di “Le Grand Mobile”: “Volevo creare un’opera che occupasse un volume molto grande; al centro del Forum del Centro Pompidou, che tuttavia restasse trasparente e che non apparisse autoritaria. La mia installazione “Le Grand Mobile”, evoca un bolla del pensiero, è come la somma dei pensieri dei visitatori del Centro (…)”. Quello stesso giorno, istintivamente, chiedemmo a Xavier di creare un “mobile” per pinksummer, contravvenendo alla nostra disciplina di scegliere olisticamente l’artista e mai una singola opera. Compatibilmente ai nostri budget di produzione, abbiamo sempre lasciato agli artisti la possibilità di rapportarsi al nostro connotatissimo spazio in totale libertà. Il “Grand Mobile” di pinksummer, che diversamente da quello del Pompidou realizzato in plastica, è in alluminio, è una sorta di fuoriprogramma fortemente voluto per la semplice ragione che ci piaceva l’idea di avere un monumento appeso per l’ultima mostra di pinksummer nello straordinario salone di Via Lomellini.

Come scrisse Sartre a proposito dei mobiles di Calder: “Un mobile è una piccola festa privata, un oggetto definito dal proprio movimento, la scultura suggerisce il movimento, la pittura suggerisce la profondità della luce. Un mobile non “suggerisce” nulla: cattura i movimenti autentici e li plasma. I mobiles non hanno alcun significato, non fanno pensare ad altro che a se stessi. Sono, questo è tutto; sono assoluti (…)” Sartre proseguiva affermando che i mobiles sono imperscrutabili quanto la natura che non rivela mai se essa sia una meccanica sequenza di cause od effetti o lo sviluppo di un’idea.

Rispetto a Veilhan il cui lavoro è quello di incunearsi nelle pieghe della rappresentazione, rivelandone immediatamente la matrice, quasi si appropriasse di un alfabeto conosciuto per semplificare la lettura delle sue opere, del suo mondo e del suo tempo, delle sue idee: nulla di fatto è più ingannevole della sua opera, il suo lavoro si rifà al flusso dell’energia vitale, lo scorrere del mondo nella storia, Xavier recuperando i codici di rappresentazione passati sembra affermare con Eraclito che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume.

Sartre riprendendo Valéry sosteneva che il mare è seducente perché ricomincia sempre, e un mobile è come il mare, non si può gettarvi uno sguardo, occorre viverci a contatto e lasciarsi affascinare. I mobiles incarnano la fluidità mobile della realtà e sostituiscono alla fredda analisi il potere vivificante dell’intuizione, l’elan vital (life force) di cui parlava Bergson. Presto o tardi nel suo percorso Xavier avrebbe dovuto confrontarsi con l’idea di mobile e lo ha fatto a suo modo creando qualcosa di assimilabile a un paesaggio mentale. Ci ha raccontato che ha preparato una maquette de “Le Grand Mobile” e l’ha appesa nel suo studio, un luogo estremamente vivo dove si lavora e si discute, in cui amici, curatori, critici vi si avvicendano. Ebbene guardando quelle bolle del “monument pendu” al di sopra delle loro teste dedite ad altro rispetto all’opera, l’artista ha pensato che potessero generarsi dai loro stessi pensieri, un po’ come accade ai personaggi dei fumetti.

Calder nella sua autobiografia racconta: “Un giorno gli chiesi (a Marcel Duchamp) che nome mi consigliava di dare ai miei oggetti e senza esitare mi disse “mobile”, parola che in francese oltre a indicare qualcosa che si muove significa anche forza motrice”.